Il calcio è bello perché è Var(io)

Il Var è come un gambero. Ad alcuni interventi corretti tramite la tecnologia con la decisione, ultima e insindacabile che è sempre dell’uomo, cioè dell’arbitro coadiuvato da un nutrito gruppo di assistenti, si arriva a topiche clamorose come gli ultimi casi che l’Italia del pallone si è trovata ad affrontare nell’ultimo turno di campionato. Vedi fallo di mano di Alex Sandro in Juventus-Milan.

Ma la casistica non può e non deve fermarsi al singolo episodio. Fatto sta che nonostante il Belpaese abbia faticato e non poco a digerire le innumerevoli interruzioni che si susseguono un po’ su tutti i campi per “andare a rivedere l’azione dubbia”, siamo ancora all’anno zero per questo tipo di tecnologia. Va bene il romanticismo che si è andato a far benedire perché il calcio di una volta non tornerà mai più (ahinoi), ma quello che davvero non si comprende e che manca a questo cervellotico sistema è l’uniformità di giudizio. Un fallo di mano a Roma non è mai lo stesso anche se è identico o quasi a un altro che può capitare a Milano, o a Pescara, a Parma e così via. Anche sugli off-side fischiati per un alluce oltre la linea immaginaria ci sarebbe molto da discutere, ma non si vuole essere fiscali.

Bene ha fatto il disegnatore degli arbitri, Nicola Rizzoli, a riportare la discussione su toni più pacifici dopo la baraonda che si è scatenata al triplice fischio dello “Stadium”: “Ci vuole più professionalità e non intendo solo le capacità degli arbitri e dei Var serve un utilizzo di personale più professionalizzato”.

Una difesa d’ufficio della categoria con tanto di spiegazioni, regole e regolamenti. Tutto materiale che serve a poco per il tifoso che si sente defraudato o per un presidente che attende risultati sul campo e qualificazioni in Champions per incamerare denaro fresco. Una cosa è certa: il tempo delle attese e della sperimentazione è finito. Palla al centro.

 

Aggiornato il 09 aprile 2019 alle ore 17:24