Secondo l’EF English Proficiency Index il livello medio di inglese in Italia è solo “moderato” e l’ultima posizione nell’Unione Europea non è casuale. Non è solo scuola: c’entrano il lavoro che facciamo, i media che consumiamo e il modo in cui guardiamo al mondo.
L’EF English Proficiency Index, l’indagine globale di EF Education First sulle competenze in inglese degli adulti, fotografa un’Italia in difficoltà per quanto riguarda le competenze linguistiche. Il risultato è un “Paese senza sottotitoli” e oggi analizziamo perché, ma anche come trovare risposte per un cambiamento che appare sempre più necessario.
I numeri: dove siamo e perché conta
L’EF English Proficiency Index è uno studio con cadenza annuale che indaga il livello di competenza linguistica dell’idioma più diffuso al mondo. È considerato tra i più affidabili. I numeri per il 2025 parlano chiaro e raccontano di un’Italia con un livello di competenza moderato, agli ultimi posti nell’UE.
I dati completi dell’EF English Proficiency Index per l’Italia offrono un quadro ancora più dettagliato e mostrano un divario considerevole tra Nord e Isole/Mezzogiorno. Emerge un Paese che mastica l’inglese a fatica, con un livello che non permette di stare ai vertici.
Economia e lavoro: chi guadagna (e chi perde) con l’inglese
Uno studio OCSE conferma che l’inglese è tra le competenze più richieste negli annunci di lavoro online in Europa: viene citato esplicitamente in circa un quinto delle offerte.
Incrociando questo dato con l’EF EPI emerge una frattura in questa skill linguistica: se nei profili più qualificati come quelli manageriali, R&D, marketing e IT è padroneggiato adeguatamente, c’è da dire che parte del tessuto produttivo resta però locale e monolingue. Si crea così una spaccatura: da un lato c’è un’Italia più internazionale, dall’altro una che non esce fuori dai confini del mercato interno. Un peccato, soprattutto in settori come il turismo.
Cultura doppiata, Paese doppiato
Cinema e TV sono quasi sempre doppiati. Senza nulla togliere alla professionalità dei doppiatori nostrani, ciò impedisce all’inglese di entrare nella vita quotidiana. Ci troviamo così a fare i conti con un filtro permanente, con un mondo quasi sempre tradotto da altri, visto con occhi che non sono i propri né pienamente autentici.
Una vision confermata da Eurostat, per la quale il Belpaese è tra gli Stati dell’UE con una delle quote più basse di adulti che si dichiarano competenti in una lingua straniera, allineandosi perfettamente al quadro tracciato dallo studio di EF.
Come non restare fuori: tre mosse concrete
Gli italiani sono dunque destinati a essere tagliati fuori, a restare nei loro confini? La risposta è negativa. Esistono infatti tre strategie concrete:
- fruire più contenuti in inglese, approfittando dell’offerta di serie, podcast, newsletter, format di informazione economico-politica internazionale;
- formazione mirata, con corsi orientati a obiettivi concreti come certificazioni o l’uso di un inglese settoriale: business, legale, tecnico, accademico. L’OCSE lo ribadisce: competenze linguistiche più sviluppate significano più occupabilità;
- studiare inglese all’estero come salto di qualità. Poche settimane o mesi in Paesi anglofoni sono perfetti per unire vita, formazione e contatto con altre culture. Lo sa bene EF, attiva da oltre 60 anni nella formazione linguistica. Ogni anno organizza programmi in decine di città nel mondo, con percorsi personalizzabili per durata, intensità e obiettivi.
Colmare il divario con i partner europei è dunque possibile, per le imprese come per studenti e lavoratori. Una misura non esclude l’altra, anzi, si integrano a vicenda. L’inglese non è mai stato così vicino.
Aggiornato il 17 dicembre 2025 alle ore 10:25
