La notizia è di quelle che nelle redazioni viene considerata “minore”, se va bene conquista un trafiletto nelle pagine della cronaca. Tuttavia, rivela più di quel che dice. Un anno fa, esattamente il 14 giugno 2024, un sacerdote, don Roberto Mozzi, cappellano nel carcere milanese di San Vittore, porta la sua testimonianza durante una Maratona Oratoria sull’emergenza carcere organizzata dagli avvocati. Il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria non gradisce, e denuncia don Roberto, il reato di cui si sarebbe reso colpevole è “rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio”.
Un intervento sui suicidi in cella dei detenuti, poi pubblicato su “Avvenire”, il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana. Che cosa avrà mai rivelato don Roberto che non si doveva sapere?
Quel testo l’ho recuperato in archivio. Don Roberto dice che negli ultimi 24 mesi, a San Vittore si sono tolte la vita 12 persone: “In pochi saprebbero dire i loro nomi e ricordare i loro volti. La parola d’ordine è ‘dimenticare’. Con rapidità ed efficienza tutto deve tornare alla normalità in poche ore, come se nulla fosse avvenuto. La morte va rimossa in fretta, perché parla. La morte scandisce parole di dolore e incuria. Da dieci anni lavoro qui come cappellano e la morte è sempre stata affrontata così: ‘custodiamo corpi vivi, dei morti non sappiamo cosa farcene: non ce ne parlate neanche’…”.
Don Roberto invece ha scelto di ricordare: Giacomo; Ahmed; Davide, e tutti gli altri: detenuti che avevano manifestato più volte disturbi mentali, avevano già tentato il suicidio, avrebbero dovuto essere in altri luoghi che la cella dove erano rinchiusi, bisognosi di cura e assistenza; e invece abbandonati ai loro tormenti e disperazioni, e infine si sono uccisi.
“Eppure, dopo ogni morte in carcere viene aperta un’indagine giudiziaria. Possibile che, di fronte a violazioni così palesi dei regolamenti penitenziari e dei protocolli di prevenzione, nessuno abbia nulla da eccepire?... Come è possibile che nessuno si sia accorto di nulla?”, si chiede don Roberto. Si sono però accorti del suo intervento, e l’hanno denunciato per rivelazione di segreto d’ufficio. L’articolo che punisce la rivelazione di segreti d’ufficio è il 326 del Codice Penale.
Nella denuncia alla Procura “veniva denunciato che l’indagato” (cioè don Roberto) per aver “elencato i suicidi di 12 detenuti in due anni, indicandone i nomi, le modalità e le probabili cause, sulla base della conoscenza di dati ed informazioni acquisiti in ragione del suo ufficio presso il carcere…” con quelle che vengono definite “significative imprecisioni forse riconducibili ad una visione parziale”.
La procura e il Giudice per le Indagini Preliminari, quando si sono trovati davanti il fascicolo hanno disposto, giustamente, l’archiviazione. Ma intanto dal Dap qualcuno ha pensato di promuovere quest’azione penale. Qualcuno per dovere d’ufficio, l’ha raccolta e trasmessa; dei magistrati hanno dovuto perdere qualche giorno o qualche ora per studiare l’incartamento e, finalmente, dopo un anno e mezzo, tutto è finito al macero. Noi si resta con il dubbio: per il Dap parlare dei suicidi in carcere, equivale a divulgare “segreti d’ufficio”?
Aggiornato il 15 dicembre 2025 alle ore 10:16
