La vicenda della famiglia nel bosco sta comprensibilmente dividendo l’opinione pubblica. La cosa è comprensibile per almeno due ragioni. La prima, che si riferisce a chi è d’accordo con le decisioni della famiglia di cui si parla, è che molti di noi, credo, hanno talvolta desiderato o sognato di vivere in piena autonomia in qualche ambiente naturale senza dover sopportare le seccature e magari le angustie della vita quotidiana nelle nostre città. La seconda, che si riferisce invece a chi critica o persino condanna l’isolamento volontario della famiglia di Palmoli, parte dal presupposto che le seccature o le angustie della vita in società sono un problema ineliminabile che, però, è tutto sommato vantaggioso, soprattutto per i minori, perché consente il godimento di tutto ciò che, oggi, è reso disponibile dalla scienza, dalla tecnologia e dal sistema socioeconomico nel suo insieme. D’altra parte, il fenomeno non è nuovo poiché la tendenza all’isolamento non solo ha caratterizzato la storia col fenomeno dell’eremitaggio, ma la stessa cronaca del secolo scorso ha riferito di vari casi analoghi. Si pensi a quello della famiglia Senti, in Svizzera, che ha vissuto in una casa alpina per molti anni, senza elettricità ed educando autonomamente i figli, oppure a quello della famiglia russa Lykov la quale, stavolta per motivi politici legati alla persecuzione antireligiosa del Governo comunista, visse per quarant’anni in totale isolamento nella foresta siberiana. E la conta potrebbe continuare.
È evidente che il nocciolo della questione è la libertà che, in casi come quello italiano attuale, sembra sintetizzare due versioni care al dibattito liberale: la libertà “di” e la libertà “da” ossia, nel caso in oggetto, libertà di vivere dove e come si vuole e libertà dalla pressione dell’organizzazione sociale. C’è tuttavia un punto non secondario da considerare. Come ha sottolineato alla fine del XIX secolo il sociologo tedesco Ferdinand Tönnies, le relazioni sociali indicano fondamentalmente due tipi di vita comunitaria: la Gemeinschaft e la Gesellschaft. Mentre la prima riguarda i rapporti diretti fra gli esseri umani, la seconda attiene alle relazioni formali, come quelle con le leggi e le istituzioni pubbliche. Ora, è evidente che il trasferimento di una famiglia nel bosco tende ad esaltare la prima forma di comunità, riducendola peraltro al proprio nucleo, e a fuggire dalla seconda. Il principio di libertà “di” può garantire la legittimità di una simile scelta ma se, e solo se, il rifiuto della società costituisce una seria forma generale e leale di libertà “da”, includendo non solo l’eliminazione di scuole per i figli, ma anche di protezione per le proprie cose, la predisposizione a difendersi per proprio conto da eventuali rapine o aggressioni da parte di animali, epidemie e così via. In definitiva non sembra si abbiano elementi sufficienti per valutare la condotta della famiglia del bosco e, in particolare, non mi pare si sia chiarito se i suoi abitanti paghino regolarmente le imposte e se, in caso di necessità, si facciano visitare da un medico del servizio sanitario o chiamino il veterinario per gli animali. L’impressione è che si tratti semplicemente di una non originale stravaganza di fieri difensori della Gemeinschaft. Ma, alla fine, sempre a spese della tanto disprezzata Gesellschaft.
Aggiornato il 05 dicembre 2025 alle ore 10:35
