Il primo viaggio apostolico di Papa Leone XIV è ancora in corso. Il pontefice è in Medio Oriente per il 1700° anniversario del Concilio di Nicea, che nel 325 d.C. ha stabilito la natura divina di Gesù e messo fine a decenni di dispute e tensioni: la preghiera del Credo che si recita tutt’ora nella celebrazione riassume le posizioni confermate dal primo grande incontro ecumenico della storia del cristianesimo. Il Papa ha visitato Turchia e Libano, ha incontrato il patriarca Bartolomeo ad Istanbul – con cui ha impartito una storica benedizione ecumenica – e visitato la Moschea Blu di Istanbul. È proprio in questo luogo, magnifico e monumentale, che è successo qualcosa di non previsto. Il Papa non ha pregato. La cosa in realtà è stata evidenziata maggiormente dalla nostra stampa occidentale, mentre i media turchi non hanno approfondito.
Prevost, come da prassi, è entrato scalzo nel luogo di culto musulmano, accompagnato dal gran muftì e dal muezzin Asgin Tunca. Il Vaticano aveva comunicato proprio al muezzin che il Papa avrebbe pregato in moschea, ma la preghiera – almeno plateale – non c’è stata. Il Pontefice ha visitato silenziosamente la moschea, fermandosi alcune volte ad ammirare le decorazioni blu tipiche della cupola della moschea. La visita si è quindi conclusa senza però che il Papa abbia sostato in preghiera. Il muezzin dice a Prevost che quella è la casa di Allah e che può pregare. Il Papa ringrazia e dice ‘‘no’’. Posso soltanto immaginare l’espressione del muezzin. I tuoi predecessori l’hanno fatto e tu no? Non prego in moschea. Il tono del dialogo sicuramente non è stato questo, ma il contenuto sì.
Sia Benedetto XVI che Francesco hanno visitato la moschea blu e si sono fermati a pregare, ma erano diversi i contesti e le premesse. Ratzinger ha visitato la moschea di Istanbul il 30 novembre 2006, ha chiuso gli occhi e si è fermato in preghiera. Chiesa e Islam erano ai ferri corti; meno di due mesi prima Benedetto aveva tenuto a Ratisbona l’ormai famoso quanto controverso discorso all’università: le parole del Papa tedesco, che riflettevano sul rapporto tra fede e ragione, più volte lambirono il contesto islamico. Il Papa, citando un discorso dell’imperatore bizantino Manuele II, disse che Maometto aveva introdotto ‘‘cose cattive disumane’’ e che non è ammissibile imporre violentemente un credo religioso. Il gesto di Ratzinger fu più un tentativo di manifestare la sua contrizione, e pregare in un luogo musulmano significava cercare una distensione necessaria.
Papa Francesco, invece, ha visitato la Moschea Blu il 29 novembre del 2014 e anche lui si è fermato in preghiera. Erano altri tempi rispetto a quelli del Papa teologo: l’Europa era nel pieno degli attacchi terroristici a opera dell’Isis e la percezione della sicurezza era al limite. Locali, mercatini di Natale, sinagoghe: tanti luoghi del vecchio continente erano diventati teatro della brutale violenza del terrorismo islamico. Non che oggi non ci siano tensioni nei contesti di fede musulmana o ansie per episodi terroristici: Papa Leone non si è fermato a pregare ‘‘pubblicamente”, fianco a fianco con il muezzin, ma sono sicuro che abbia rivolto al Dio monoteista le sue intenzioni per la pace e l’unità. Il muezzin c’è rimasto male e dice che il Vaticano aveva assicurato la preghiera del pontefice, che invece ha preferito limitarsi alla visita, anche piuttosto sobria.
Il mondo musulmano ha per caso bisogno di mostrare che il Papa prega nel loro tempio? C’è davvero necessità di inscenare teatrini in nome di qualche presunto pacifismo? Sinceramente, è andato tutto come doveva andare. Non me lo immagino proprio Prevost a pregare in una moschea. Sarebbe più impacciato del solito, e sicuramente non ha l’atteggiamento di chi vuole mostrare qualcosa a tutti i costi. Probabilmente ha pregato dall’inizio alla fine della visita, proprio affinché la sfilata durasse il meno possibile. Niente sguardi mistici al cielo, né occhi chiusi o braccia incrociate. Ha fatto capire che il Papa non ha bisogno di pregare in moschea, anche perché mi sembrerebbe poco convincente la preghiera di un muezzin in una chiesa.
L’idea generale è che il Papa abbia fatto bene a non pregare e che il contrario sarebbe stato visto una sorta di insubordinazione all’Islam. Le gerarchie funzionano solo tra simili: il Papa è importante per un cattolico, al massimo per un cristiano. Per un musulmano è soltanto un Capo di Stato (anche se con una componente spirituale più importante rispetto ad un laico). Il Pontefice è chiaramente più influente di un muezzin, ma per un musulmano presente in moschea il riferimento è il muezzin. Il Pontefice è un visitatore, per di più non musulmano. E per loro dimostrare che l’Islam è il braccio forte appare necessario. Ecco perché un non musulmano che evita la preghiera in moschea è un qualcosa di fastidioso. Ma va bene così: troppe persone, negli ultimi decenni, hanno dato all’Islam un’importanza fuorviante, sempre orientati dal cripto-buonismo che siamo tutti uguali. La mancata preghiera di Leone in moschea potrebbe sembrare una svista, ma dietro c’è un ragionamento attento: un qualcosa come ‘‘Non ci avrete’’. E questo si inserisce nel tentativo di Papa Prevost di ristabilire un equilibrio dottrinale e di riorientare la Chiesa su un impianto tradizionale.
Leone insiste nel tenere un basso profilo, anche quando l’occasione richiederebbe un qualcosa di simbolico. Un Papa in una moschea è già simbolico. Un Papa che prega in moschea potrebbe risultare non dico fuori luogo, ma quantomeno curioso. Il tutto sempre nella prospettiva che siamo fratelli, che la pace è bella e che Dio ama tutti. Ma la verità è diversa e il tempo dei teatrini forse è finito.
Aggiornato il 03 dicembre 2025 alle ore 12:40
