Rosa Parks, settant’anni fa con il suo “no” sconfisse il segregazionismo

Quando un “no” equivale a una rivoluzione. È precisamente ciò che accadde il primo dicembre di settant’anni fa a bordo di un autobus in quel di Montgomery (Alabama). Il rifiuto di una donna, Rosa Parks, di alzarsi per cedere il posto a un bianco infranse in modo clamoroso le leggi di segregazione razziale in vigore nel Sud degli Stati Uniti. Non si trattò di un gesto improvvisato, ma di una scelta politica consapevole da parte di una donna semplice (era una sarta) e già impegnata nella lotta per i diritti civili. Quel giorno decise di non obbedire, pur sapendo che l’attendeva la galera. Le manette scattarono per “condotta impropria” e per “violazione delle leggi sulla segregazione”.

Con il suo “no”, Rosa Parks dimostrò che la separazione razziale non apparteneva all’ordine naturale della vita, ma si trattava di una costruzione politica che, in quanto tale, poteva essere sconfitta. Un gesto che cambiò la storia degli Stati Uniti. Le proteste presero il via poche ore dopo l’arresto della Parks. Migliaia di uomini e donne della comunità afroamericana boicottarono i bus cittadini. L’azione proseguì per 381 giorni, pesando non poco sul bilancio dell’azienda dei trasporti urbani. La reazione delle autorità non si fece attendere; numerose furono le persone che vennero arrestate e più volte le abitazioni dei leader della ribellione furono prese di mira e distrutte. In quei mesi, per mezzo di una strepitosa opera di disobbedienza civile, gli “esclusi” maturarono una nuova coscienza collettiva che si tradusse nella parola d’ordine: Dopo il “no”, ora “basta”.

Il movimento per i diritti civili a partire dal dicembre 1955 divenne una struttura organizzata e trovò in un pastore battista di appena 26 anni il proprio portavoce: Martin Luther King. In seguito alla grande disobbedienza di Montgomery, la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò il 13 novembre 1956 incostituzionale la segregazione sui mezzi pubblici. Intanto, la contestazione dilagava in molti altri Stati e città. Quella che gli storici chiamano “la stagione dei diritti civili” segna la storia degli Stati Uniti negli anni fra il 1955 e il 1968. Luther King guidò le grandi manifestazioni di Birmingham, di Washington (dove lanciò nell’agosto ‘63 il famoso “I have a dream)” oltreché la seconda e la terza marcia di Selma. Non gli fu permesso di partecipare alla prima a causa di un’ordinanza giudiziaria. Era il 7 marzo 1965, passato alla storia come “Bloody Sunday”. I manifestanti furono attaccati brutalmente dalla polizia dell’Alabama e da gruppi di vigilanti volontari. Le immagini della violenza trasmesse dalla televisione provocarono indignazione nazionale e internazionale.

Quelle azioni pacifiche, però, portarono a una legislazione federale inimmaginabile pochi anni prima. Il Presidente Democratico Lyndon Johnson nell’ambito di un vasto programma di riforme economiche e sociali (Great Society) sostenne fortemente le ragioni  del movimento per i diritti civili attraverso il Civil Rights Act (1964) con cui si proibì la segregazione in tutti i luoghi pubblici e il Voting Rights Act (1965) con il quale vennero eliminati i molti ostacoli che di fatto impedivano agli afroamericani di esercitare il diritto di voto (riconosciuto formalmente nel 1870 con il XV emendamento, ma di fatto negato soprattutto negli Stati del Sud).

Rosa Parks, come è ovvio, non vinse da sola la battaglia antisegregazionista, ma senza il suo gesto la “stagione dei diritti civili” avrebbe avuto altri tempi e altri percorsi.

Aggiornato il 01 dicembre 2025 alle ore 13:12