La società liberale e quella del bosco

È nota la vicenda. Una coppia di genitori alternativi decide di andare a vivere in un bosco abruzzese, lontano dalle comunità organizzate e in modo autarchico, tirando avanti con quello che la natura consente. La coppia porta ovviamente con sé i bambini, ai quali è pure riservato lo stato di natura originario: che vuol dire niente scuola e niente relazioni con i coetanei e con gli altri.

Un Tribunale della Repubblica incalza, manda gli assistenti sociali, riceve rifiuti da parte dei genitori, ed alla fine sottrae loro quei figli, mandandoli in una casa di accoglienza.

La decisione è fatta oggetto di critiche di diverso sentire, ma soprattutto da chi sostiene posizioni di individualismo liberale: i genitori, osservano costoro, facciano ciò che vogliono, se intendono vivere nel bosco siano liberi di farlo, e siano liberi di educare i figli come meglio credono. È davvero così. Una posizione liberale obbliga a queste conclusioni? O è una posizione pseudo liberale?

Innanzitutto, è evidente che la libertà di fare ciò che meglio si crede della propria vita è limitata, per l’appunto, alla propria vita, e non a quella degli altri. La libertà di ciascuno ha un limite nei diritti altrui. E gli atti che riguardano se stessi non vanno equiparati agli atti che riguardano gli altri. Eppure, questo è un postulato della dottrina liberale di J.S. Mill, che gli stessi liberali ignorano. Non si fa buon servizio al liberalismo se lo si disattende.

E dunque è evidente che i genitori che impongono ai figli una vita di isolamento adottano una decisione che non riguarda solo loro, ma che ha effetti sugli altri, i quali peraltro non hanno neanche la possibilità di comprenderla e di opporvisi. E, oltre al postulato primo del liberalismo, secondo cui il limite alla propria libertà è il danno che si fa agli altri, qui è chiaramente in gioco anche l’agire comunicativo e la possibilità che le scelte che riguardano terzi, anziché imposte, siano condivise, secondo la prospettiva di Habermas.

Vi è poi il piano dei doveri, anche esso non estraneo alle visioni liberali, che al contrario di quanto si crede ingenuamente, non fanno tesoro dei soli diritti: abbiamo verso i figli anche doveri, e tra questi quello di educarli adeguatamente e non privarli di ciò che li può caratterizzare in futuro come esseri sociali.

Infine, un terzo profilo. La critica pseudo liberale alla decisione del giudice abruzzese postula una sorta di libertà insindacabile dei genitori di decidere loro ciò che è meglio per i loro figli.

Se ciò fosse vero, allora dovremmo dire insindacabile anche la scelta del genitore mafioso di perpetuare la sua schiatta con figli della medesima inclinazione; non potremmo interferire nella scelta del genitore di avviare i propri figli al crimine organizzato, perché la scelta dei genitori è insindacabile ed essi sono liberi di fare ciò che vogliono quanto alla eduzione della prole.

Ma se invece neghiamo questo assunto, come pare che sia evidente, almeno nel caso in cui il genitore ha in serbo per i figli una vita da criminali, allora dobbiamo trovare un criterio per distinguere quando la scelta educativa è nell’interesse del minore e quando non lo è.

Ed allora possiamo censurare la corretta applicazione di quel criterio, ma non già che se ne sia fatto uso.

Aggiornato il 28 novembre 2025 alle ore 10:47