Opinioni diverse su un tema complicato che riguarda i minori sottratti alla famiglia aglo-australiana, che ha scelto i boschi dell'Abruzzo per vivere “in natura”. Leggi anche l'articolo di Aldo Rocco Vitale e Mario Sommarone.
In un’Italia che si compiace di riconoscere ogni sfumatura di libertà individuale, ma che puntualmente vacilla quando si tratta dei più fragili, assistiamo a un paradosso degno di una pièce di teatro dell’assurdo: una famiglia anglo-australiana decide di vivere nel bosco in Abruzzo, senza elettricità né acqua corrente, con tre bambini, convinta di essersi liberata dalle “catene” della modernità. Lo Stato, poco sensibile alle fascinazioni bucoliche, interviene e li allontana con un’ordinanza del Tribunale per i Minorenni.
Apriti cielo. L’esercito dei difensori del “diritto naturale” – quello per cui basta evocare Rousseau anche quando si vive come in un episodio perso di Lost – insorge indignato. Libertà educativa! Famiglia! Natura! Peccato che nessuno di questi slogan abbia mai cambiato una verità elementare: i bambini non sono cavie per esperimenti esistenziali.
Libertà educativa o egoismo romantico?
I genitori, serissimi, hanno deciso di rinunciare a ciò che definiscono le “zavorre moderne”: scuola tradizionale, elettricità, acqua corrente e persino un bagno vero. A loro dire, si tratta di un “ritorno all’essenziale”, un gesto di purificazione filosofica con la terra e gli animali.
Che teneri. Peccato che il pensiero filosofico li smentisca in blocco: Aristotele ricordava che l’uomo, per natura, è animale politico. Non nel senso che deve votare, ma nel senso che fuori dalla comunità diventa o un dio o una bestia. E in questo caso, nessuno dei due scenari appare particolarmente edificante per dei bambini che non hanno ancora deciso se preferiscono leggere o giocare a nascondino.
La libertà educativa non è un passe-partout metafisico. Se bastasse invocare la natura per essere nel giusto, allora Diogene avrebbe vinto il Nobel per la pedagogia con la sua botte. E invece la storia si è premurata di farci capire che vivere “nudi e crudi” non è necessariamente un merito.
Il dovere dello Stato e il limite del diritto naturale
Secondo l’ordinanza, il problema non è solo la scuola: il punto cruciale è il “diritto alla vita di relazione”, garantito dall’articolo 2 della Costituzione. In parole povere, una capanna in mezzo ai boschi non è un asilo comunitario, e l’isolamento imposto – altro che libertà – può generare “gravi conseguenze psichiche ed educative”.
Ma provate a dirlo agli innamorati del mito del “ritorno alla natura”: gli stessi che confondono Thoreau con un tutorial su YouTube.
L’abitazione, poi, è descritta come fatiscente, priva di impianti, non idonea, esposta a rischi sismici e di incendio. Certo, dirà qualcuno, anche Platone viveva senza Wi-Fi. Vero. Ma Platone non aveva dei figli a cui garantire cure mediche e un tetto che non crollasse con una starnutita.
E non parliamo del rifiuto di consentire i controlli sanitari obbligatori. Qui non siamo nel campo della filosofia, ma in quello della testardaggine confusa con l’autenticità: la versione spirituale del “so io come si fa”, pericolosa esattamente quanto suona.
Chi esalta questa famiglia sbaglia due volte
Primo errore: romanticizzare l’autonomia estrema.
Vivere nella natura non è automaticamente una virtù. Lo era forse per gli stoici, ma non per tre bambini che necessitano di scuola, relazioni, stimoli e un ambiente minimo di sicurezza. Se il bosco diventa un recinto, abbiamo sbagliato strada: quello non è un eden, è un isolamento camuffato.
Secondo errore: proclamare il diritto naturale come se fosse un jolly.
Il diritto naturale è nobile, certo, ma non è un lasciapassare per trasformare la genitorialità in un atto di pura autarchia. Lo ricordava anche Kant: trattare un essere umano come un fine, non come un mezzo. E i figli non sono il mezzo per realizzare il sogno bucolico dei genitori, né il loro biglietto d’ingresso a un club esclusivo di alternativi.
Meno Rousseau, più realtà
Non c’è odio verso i genitori, forse mossi da un bisogno sincero di fuga da ciò che definiscono “società tossica”. Ma la libertà, quella vera, non è il contrario delle regole: è il loro prodotto più maturo.
Se vivere nel bosco bastasse a salvarsi dalla malvagità del mondo, allora Cappuccetto Rosso sarebbe un manuale di pedagogia e non un avvertimento.
Gli idealisti della libertà educativa dovrebbero ricordarlo: i diritti dei genitori esistono, ma si fermano dove comincia il diritto dei figli a essere protetti, curati e socializzati, non trasformati in apprendisti druidi.
Se per salvare un sogno si finisce per sacrificare tre infanzie, non siamo davanti a una rivoluzione spirituale.
Siamo davanti a un abbandono.
Un abbandono romantico, poetico, filosofico quanto si vuole.
Ma pur sempre un abbandono.
Aggiornato il 27 novembre 2025 alle ore 15:49
