Medicina a km 0
Il fenomeno della violenza estrema contro le donne ̶ i cosiddetti “femminicidi” ̶ rappresenta una piaga sociale che richiedeva non solo attenzione mediatica, ma anche risposte normative, culturali e di prevenzione. La recente approvazione del Ddl sul femminicidio ̶ che prevede, tra l’altro, l’ergastolo per i casi aggravati tipizzati all’articolo 577-bis del Codice penale ̶ vuole essere una presa di posizione netta dello Stato: riconoscere che la morte di una donna per ragioni di genere non è un semplice delitto, ma un crimine con radici culturali profonde in disparità e dinamiche di potere. Tuttavia, molte voci ̶ anche quella del criminologo e psicologo forense Bruno Calabrese ̶ sottolineano che questa “tutela rafforzata” non trova un equivalente quando la vittima è un uomo: nel caso di “maschicidio” o omicidi di uomini da parte di donne, non esiste un riconoscimento simbolico e normativo paragonabile, anzi “uguale” dato che sempre di uguaglianza si parla. È questa disparità ̶ non solo di numeri, ma di significato ̶ che meritava una riflessione che abbiamo approfondito nel video all’interno di questo articolo.
Secondo il più recente rapporto della Istat, nel 2024 in Italia si sono registrati 327 omicidi volontari, di cui 116 vittime donne e 211 vittime uomini. Sempre nel 2024, delle 116 donne uccise, 106 sono classificati come “femminicidi stimati” (Istat).
Di queste 106 donne uccise, 62 erano state assassinate da un partner o ex-partner; per la maggior parte degli altri casi l’omicida era un parente (37 casi), un amico/conoscente (3 casi) o uno sconosciuto (4 casi).
Il tasso di omicidi per 100.000 abitanti nel 2024 è pari a 0,55; in particolare, 0,73 per 100.000 uomini e 0,38 per 100.000 donne.
Storicamente, il dato dal lato delle vittime maschili mostra un calo significativo negli ultimi decenni: secondo Istat, dal 1992 al 2018 il tasso di omicidi tra gli uomini è passato da circa 4 per 100.000 a 0,7; nello stesso periodo, per le donne il calo è stato più contenuto, da 0,6 a 0,4 per 100.000.
Al tempo stesso, gli omicidi che riguardano le donne sono molto spesso legati a relazioni intime o familiari, partner, ex-partner, familiari; mentre gli omicidi di uomini tendono ad avvenire in contesti più variegati (criminalità, liti, conoscenti, ecc.).
Il Ddl recentemente approvato introduce nel nostro ordinamento penale la categoria del “femminicidio” come delitto aggravato, prevedendo per i casi più gravi la pena dell’ergastolo (articolo 577-bis cpp). Questo riconoscimento mira a valorizzare il crimine come esito estremo di una violenza strutturale e sistemica contro le donne, non un fatto di cronaca, quindi, ma un fenomeno sociale. Questa legge vuole anche servire da deterrente, rendendo chiaro che un omicidio motivato dal genere non è assimilabile a un qualsiasi omicidio: è una condanna dell’idea che una donna possa essere “proprietà”, “bersaglio”, “possesso”.
È proprio questa forte carica simbolica ̶ che identifica il crimine come legato al genere della vittima ̶ a generare una disparità di trattamento tra donne e uomini nelle discussioni pubbliche e normative. Quando la vittima è un uomo, raramente si parla di “maschicidio”, di “omicidio di genere maschile”, di una legge speciale: l’omicidio resta un fatto generico, senza una dimensione sociologica riconosciuta in quanto tale.
Questo rende più difficile riconoscere e studiare le dinamiche specifiche che possono portare a uccisioni di uomini da parte di donne ̶ siano esse relazioni di coppia, parentali, oppure altri contesti ̶ e spesso relega quei casi entro la logica della criminalità “comune”.
In questo, la rivendicazione del criminologo Bruno Calabrese suona urgente e legittima: se davvero l’obiettivo è “uguale tutela di tutti”, qualsiasi omicidio motivato da genere o relazione - indipendentemente dal genere della vittima ̶ dovrebbe essere analizzato e, se pertinente, punito con la stessa attenzione sociale e normativa.
La suddetta legge non affronta automaticamente tutte le violenze, ad esempio, lo stupro resta fuori da questa normativa, perché richiede una definizione giuridica precisa e contestuale.
La giustizia penale non è fondamentale per Calabrese, che sottolinea l’importanza dell’impegno educativo e di un bisogno di cambiamento culturale troppo radicato, alla base della soluzione: prevenzione, educazione, cambiamento culturale, modelli di relazione rispettosi sono necessari per contrastare la radice del problema.
Allo stesso tempo, ignorare i casi in cui le vittime sono uomini ̶ o non riconoscere le dinamiche di genere che li riguardano ̶ significa accettare un doppio standard, due pesi e due misure, che a suo dire, mina un concetto di giustizia equa e universale.
Aggiornato il 26 novembre 2025 alle ore 12:57
