Una testa di capretto mozzata, accompagnata da un coltello e un biglietto di minacce, è stata deposta sulla tomba del padre della giudice antimafia Maria Francesca Mariano. Un atto intimidatorio di inaudita violenza che segna un’escalation nella sfida della criminalità organizzata allo Stato nel cuore del Salento e che ha acceso i riflettori sulla necessità di una risposta corale e decisa da parte delle istituzioni e della società civile.
L’episodio, avvenuto nel cimitero di Galatina, in provincia di Lecce, ha scosso profondamente l'opinione pubblica e le istituzioni. La giudice Mariano, da oltre un anno sotto scorta per il suo impegno in delicate inchieste sulla Sacra Corona Unita, è stata la scopritrice del macabro avvertimento. Non si tratta di un caso isolato: in passato, la magistrata aveva già ricevuto minacce, tra cui un’altra testa di capretto lasciata davanti alla sua abitazione e una sua foto, trovata in un’aula di tribunale, con disegnata sopra una bara.
LA PREOCCUPAZIONE DEL GOVERNO E LA SOLIDARIETÀ ISTITUZIONALE
La gravità del gesto ha innescato l’immediata reazione del governo. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, ha contattato telefonicamente la giudice Mariano per esprimerle la “altissima considerazione di Palazzo Chigi per il suo operato”. Mantovano ha inoltre interpellato il prefetto e il questore di Lecce per sollecitare “ogni misura di sicurezza possibile, pur essendo l’attuale dispositivo tutorio già al massimo livello”.
A stretto giro sono arrivate numerose manifestazioni di solidarietà dal mondo politico e istituzionale. Il presidente facente funzioni della Provincia di Lecce, Fabio Tarantino, ha condannato fermamente “ogni forma di intimidazione, minaccia e violenza nei confronti di chi, con coraggio e dedizione, compie un’opera quotidiana di servizio nelle istituzioni e per la giustizia”.
Anche l’Associazione Nazionale Magistrati (Anm) ha espresso la massima vicinanza alla collega, sottolineando come queste “brutali minacce non sortiranno l'effetto di intimidire e far allentare l’azione di contrasto al crimine”.
LA NUOVA FRONTIERA DELLA SACRA CORONA UNITA
L’intimidazione alla giudice Mariano si inserisce in un contesto di rinnovata aggressività della criminalità organizzata salentina. La Sacra Corona Unita, pur indebolita da numerose operazioni di polizia e processi, sta attraversando una fase di profonda trasformazione. Abbandonata la struttura verticistica del passato, oggi si presenta come un’organizzazione “reticolare”, con clan che mirano a consolidare il controllo sulle attività illecite nel proprio territorio.
Le recenti relazioni della Direzione Investigativa Antimafia descrivono una mafia imprenditrice, capace di infiltrarsi nel tessuto economico legale, sfruttando la crisi per riciclare i proventi del traffico di droga, suo principale business. Questa “mafia silente e invisibile” cerca il consenso sociale offrendo “servizi” come il recupero crediti o posti di lavoro in aziende controllate, sostituendosi di fatto allo Stato.
L’APPELLO ALLA SOCIETÀ CIVILE: NON LASCIARE SOLA LA MAGISTRATURA
Di fronte a questa nuova e insidiosa sfida, le istituzioni e le forze dell’ordine non possono essere lasciate sole. È fondamentale una presa di coscienza e una mobilitazione diffusa della società civile. Associazioni come Libera sono da tempo in prima linea nel promuovere una cultura della legalità. Il coordinamento provinciale di Libera Lecce, in seguito alle minacce alla giudice Mariano, ha ribadito che “i cittadini non devono essere solo sentinelle, ma anche operatori di un cambiamento di mentalità”.
MA COSA PUÒ FARE CONCRETAMENTE LA SOCIETÀ CIVILE?
1) Informarsi e informare:conoscere le dinamiche criminali del proprio territorio è il primo passo per contrastarle. Rompere il muro di omertà che spesso protegge le attività mafiose è essenziale.
2) Sostenere le associazioni antimafia:partecipare alle iniziative, offrire il proprio tempo e le proprie competenze, sostenere economicamente le realtà che si battono per la legalità sul territorio.
3) Promuovere la cultura della legalità:a partire dalle scuole, è cruciale educare le nuove generazioni al rispetto delle regole e dei valori democratici, offrendo alternative concrete alla cultura mafiosa.
4) Fare rete:creare sinergie tra cittadini, associazioni, scuole e istituzioni locali per costruire un fronte comune contro ogni forma di criminalità e sopruso.
5) Non avere paura di denunciare:segnalare alle autorità competenti ogni attività sospetta o illecita è un dovere civico che può fare la differenza.
La vicenda della giudice Mariano è un monito per tutto il Paese. La lotta alla mafia non è una battaglia che riguarda solo i magistrati e le forze dell’ordine, ma una sfida che coinvolge ogni singolo cittadino. Lasciare soli i servitori dello Stato significa consegnare il territorio nelle mani della criminalità. La risposta più efficace all’intimidazione è una società civile unita, consapevole e coraggiosa, che si schiera senza esitazioni dalla parte della legalità e della giustizia.
Aggiornato il 06 novembre 2025 alle ore 13:16
