Addio al generale Franco Angioni, l’eroe del Libano

Una vita per le istituzioni, un’eredità che parla di coraggio, umanità e di una pagina storica per le Forze Armate italiane. La scomparsa del generale Franco Angioni lascia un vuoto nel panorama della Difesa italiana. Figura carismatica e comandante illuminato, Angioni è stato il volto della prima, grande missione militare dell’Italia nel dopoguerra, un’operazione che ha segnato una svolta nella politica estera e nella percezione delle nostre Forze Armate: la missione in Libano.

Il generale di Corpo d’Armata Franco Angioni si è spento lasciando un’eredità profonda, costruita in una vita dedicata al servizio dello Stato. Nato a Civitavecchia il 25 agosto 1933, di origini sarde, ha intrapreso la carriera militare giovanissimo, frequentando la prestigiosa Scuola Militare Nunziatella di Napoli e l’Accademia Militare di Modena.

La sua è stata una carriera brillante, che lo ha visto specializzarsi nel corpo dei paracadutisti e ricoprire incarichi di crescente responsabilità, fino a diventare Segretario generale della Difesa e Direttore Nazionale degli Armamenti. Ma è un capitolo in particolare della sua storia ad averlo consegnato alla memoria collettiva del Paese: il comando della missione Italcon in Libano.

LA GRANDE MISSIONE IN LIBANO: NASCITA DEL “PEACEKEEPING ALL’ITALIANA”

Nel 1982, in un Libano devastato dalla guerra civile e all’indomani dei tragici massacri di Sabra e Shatila, l’Italia decise di inviare un contingente militare con compiti di pace. Era la prima volta, dalla fine della Seconda guerra mondiale, che un reparto armato italiano veniva impiegato fuori dai confini nazionali con una missione di interposizione. Al comando di quegli uomini, in un contesto ad altissima tensione, fu designato l’allora colonnello Franco Angioni.

Quella che prese il via fu la missione “Libano 2”, un’operazione che si trasformò ben presto in un modello di intervento che sarebbe diventato un marchio di fabbrica per i soldati italiani impegnati all’estero. Il generale Angioni, promosso a Generale di Brigata proprio durante la missione, seppe interpretare il suo ruolo con un approccio innovativo, fondato non solo sulla fermezza militare, ma anche su una profonda umanità e sulla capacità di dialogare con tutte le parti in conflitto.

I soldati italiani, sotto la sua guida, non furono percepiti come una forza di occupazione, ma come un contingente di pace capace di comprendere le ragioni delle diverse fazioni e di guadagnarsi la fiducia della popolazione locale. Emblematica fu la costruzione di un ospedale da campo nei pressi dell’aeroporto di Beirut, dove venivano curati i feriti di qualsiasi schieramento. Questo approccio, unito a una costante opera di mediazione, consacrò il successo della missione Italcon e la figura del suo comandante, che divenne enormemente popolare in patria.

UN COMANDANTE CHE HA LASCIATO IL SEGNO

L’esperienza in Libano ha rappresentato uno spartiacque nella storia delle operazioni militari italiane, dimostrando la capacità delle nostre Forze Armate di operare con efficacia e umanità in scenari di crisi complessi. Il generale Angioni è stato l’artefice di questo successo, un comandante che ha saputo infondere nei suoi uomini i valori del coraggio, della disciplina e del rispetto per le popolazioni civili.

Il suo carisma e il suo stile di comando hanno ispirato anche la scrittrice Oriana Fallaci, che nel suo romanzo Insciallah, dedicato all’esperienza libanese, ha tratteggiato la figura del “Condor”, il comandante del contingente italiano, ispirandosi proprio ad Angioni.

Al suo rientro in Italia, nel febbraio del 1984, il contingente fu accolto da una folla festante, un’immagine potente che testimoniava il profondo legame che si era creato tra il Paese e i suoi soldati in missione.

PERCHÉ RICORDARLO ALLE NUOVE GENERAZIONI

La figura del generale Franco Angioni merita di essere conosciuta e ricordata dalle nuove generazioni per molteplici ragioni. Innanzitutto, per il suo ruolo di pioniere. Ha guidato l’Italia in una nuova era di impegno internazionale, dimostrando che la forza militare può essere uno strumento efficace per la costruzione della pace.

In secondo luogo, per l’esempio di leadership che ha incarnato. Una leadership autorevole ma non autoritaria, capace di coniugare il rigore militare con la sensibilità umana, l’efficienza operativa con la capacità di mediazione.

Infine, perché la sua storia è un monito sull’importanza del dialogo e della comprensione reciproca nella risoluzione dei conflitti.

In un’epoca segnata da nuove e complesse sfide globali, l’eredità del generale Angioni, il suo “peacekeeping all’italiana”, rimane un modello di straordinaria attualità e una fonte di ispirazione per chi crede nella possibilità di un mondo più giusto e pacifico.

(*) Già Ufficiale della riserva selezionata dell’esercito, Ufficiale volontario Corpo militare della Croce Rossa Italiani

Aggiornato il 29 ottobre 2025 alle ore 11:28