Il potere dei giornalisti

Il potere più potente di tutte le democrazie occidentali non è quello del Governo, ma quello dell’informazione, che purtroppo a volte viene gestita in modo egemonico dai mezzi a larga diffusione. Tanto il potere delle televisioni, che in alcuni casi non si preoccupano neppure di aver posto in essere comportamenti che ne erodono in modo irrimediabile la credibilità pubblica. Mi riferisco in particolare a La7 e ai programmi di approfondimento politico che ogni giorno ne rappresentano la quasi totalità del palinsesto. Cosa succede in questi programmi? Succede in modo sempre più frequente che i conduttori di una trasmissione si ritrovino quali ospiti intervistati in una diversa trasmissione e viceversa, come in un imprevedibile e durevole gioco di specchi. Così, per esempio, di martedì conduce la sua trasmissione ove vari ospiti parlano di Hamas e di Donald Trump, ma di giovedì lo ritroviamo nella Piazzapulita di Corrado Formigli a dispensare come nulla fosse le sue opinioni politiche oppure da Lilli Gruber, in orario serale nella trasmissione da lei condotta. La Gruber a sua volta – ogni sera conduttrice del proprio programma – pensa bene di invitare Formigli una mezzoretta prima che questi corra a condurre Piazzapulita, mentre due o tre sere dopo va lei a fargli visita quale ospite e opinionista e via di questo passo. Tutto bene, si potrebbe pensare.

Invece, questo andazzo ormai persistente e quotidiano mi suscita una duplice perplessità. La prima mi induce a una domanda: ma com’è possibile che tutti i giornalisti de La7 – proprio tutti, nessuno escluso – siano ideologicamente di sinistra, simpatizzanti o addirittura elettori del Pd o dei 5 stelle o di altre formazioni politiche ancora più estreme? Dal punto di vista probabilistico, la cosa mi pare assurda, in quanto viola appunto ogni predizione di probabilità, secondo la quale su trenta, quaranta, cinquanta persone, non dico la metà, ma almeno un terzo, un quarto, un quinto o un decimo dovrebbe – per una semplice legge numerica – schierarsi dalla parte politica opposta. Invece, niente, niente di niente. Nessuno, neppure uno, neppure per errore o per distrazione. Tutti uniti e compatti in ossequio al verbo di Elly Schlein, di Giuseppe Conte, di Nicola Fratoianni. E allora delle due, l’una: o si tratta di un caso inverosimile di violazione delle leggi della probabilità come individuate e teorizzate da Blaise Pascal; oppure – cosa meno inverosimile, ma assai incresciosa – prima di essere assunti da La7, i giornalisti devono sottoporsi all’esame del sangue in chiave politica, venendo prescelti o scartati non in forza della propria capacità professionale, ma del credo politico professato. La seconda perplessità invece deriva dal considerare come questi giornalisti – della cui bravura non discuto – non si rendono conto di come e di quanto questo loro gioioso e scanzonato gironzolare a fare gli ospiti e gli opinionisti presso le altre trasmissioni dei colleghi e delle colleghe produca una perdita irrimediabile: quella della loro credibilità. Infatti, ogni conduttore televisivo di programmi di approfondimento politico mena vanto – giustamente – di essere imparziale, dando voce a diverse e contrastanti opinioni, senza parteggiare per nessuna.

Evidentemente, si tratta di cose che si dicono per educazione e per correttezza giornalistica, ma alle quali nessuno crede fino in fondo, anche perché il credo politico di ciascuno finisce con trapelare quando meno lo si aspetti anche attraverso il modo di porgere una domanda o di formularne una diversa da quella che si dovrebbe. In ogni caso, siamo di fronte a quel velo di leggera e socialmente accettabile ipocrisia, senza la quale sarebbe quasi impossibile vivere insieme: è quanto accade per esempio quando salutando qualcuno si dice “molto lieto” o altra simile espressione, anche se i presenti capiscono subito che lieti lo si è poco o pochissimo o addirittura per nulla. Eppure, questo velo di ipocrisia – sul quale Jean-Jacques Rousseau ha scritto memorabili riflessioni – è necessario per la convivenza sociale. Senonché, quando Corrado Formigli diviene opinionista ospite da Lilli Gruber e questa lo diviene di quello o uno di loro da David Parenzo e questo da Giovanni Floris o da Tiziana Panella, allora accade l’irreparabile: il velo di ipocrisia si dissolve e appare la cruda verità non più saggiamente occultata, vale a dire la fede politica e ideologica di ciascuno di loro. Il punto, tuttavia, non è solo questo.

Il punto è che una volta che ogni ipocrisia funzionale a credere che questi conduttori siano imparziali venga dissolta, costoro non possono tornare al loro mestiere di conduttori, perché non è più possibile neppure fingere di crederli tali: la loro credibilità è morta e sepolta. Non si possono, insomma, impunemente occupare due poltrone fra loro incompatibili: ospite chiamato a elargire pubblicamente in televisione opinioni politiche di parte il martedì e conduttore imparziale di analoghe trasmissioni il giovedì. Ma loro continuano imperterriti a recitare entrambe le parti, come nulla fosse, di nulla curandosi appunto se non forse di soddisfare la loro vanità: come Arlecchino, vogliono impunemente servire due padroni. Così facendo, tuttavia finiscono col privare il pubblico perfino del sottile piacere di fingere che essi siano davvero imparziali. E allora meglio cambiare canale o spegnere il televisore.

Aggiornato il 16 ottobre 2025 alle ore 10:39