Il carcere non è vendetta: perché la giustizia riparativa riguarda anche i nostri adolescenti

Il carcere non è vendetta” non è stata un’attenuante emotiva, ma la domanda politica e culturale messa al centro dall’incontro che si è svolto il 4 settembre al Palazzo San Sebastiano, nell’ambito del Festivaletteratura, con Marcello Bortolato, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze e la moderatrice Verdiana Benatti. Il confronto ha spostato l’asse dal castigo alla responsabilità, dalla punizione alla riparazione del danno e della fiducia sociale. L’Italia ha scolpito nella Costituzione che la pena deve “tendere alla rieducazione”un principio spesso evocato e troppo raramente valutato nei suoi esiti. La questione, oggi, è tutta qui: che cosa funziona davvero per ridurre la recidiva, sostenere le vittime e restituire sicurezza alle comunità?

Bortolato ha scelto di abbandonare il ping-pong ideologico − il “buonismo” contrapposto al “pugno di ferro” − per tornare al terreno, più faticoso ma decisivo, delle evidenze: programmi mirati, percorsi di responsabilizzazione, lavoro e formazione dentro e fuori dal carcere, giustizia riparativa quando le condizioni lo consentono. In questo quadro, la giustizia riparativa è stata delineata con precisione: non un condono morale, non una sostituzione della pena, non un obbligo a “perdonarsi”, ma un insieme di procedure che mette al centro il danno prodotto e prova − in modo volontario, mediato e sicuro − a ricomporre almeno in parte la frattura. Si tratta di chiarire i fatti, riconoscere le responsabilità, prevedere azioni concrete di riparazione simbolica e materiale. Quando avviene, avviene accanto alla pena, non al posto della pena.

È stato sgombrato il campo da alcuni equivoci ricorrenti. Il primo riguarda l’equazione “più carcere uguale più sicurezza”. Il carcere resta necessario e va usato senza timidezze davanti a reati gravi e a pericolosità attuale, ma oltre una certa soglia l’inasprimento “a volume” non migliora gli esiti: in assenza di trattamento, studio, lavoro e percorsi strutturati di responsabilizzazione, l’uscita somiglia a una porta girevole. Dirlo con chiarezza non significa cedere sul principio punitivo, ma orientarlo al risultato: la domanda pubblica non è quanto puniamo, bensì quanto riduciamo il rischio che accada di nuovo. Secondo fraintendimento: l’umanità come sinonimo di debolezza. In un sistema costituzionale, umanità significa al contrario fissare standard professionali esigenti − salute garantita, accesso allo studio, lavoro effettivo, programmi di responsabilizzazione verificabili − e pretenderne il rispetto. Non è morbidezza, è alzare l’asticella: chiedere di più a chi ha sbagliato, non di meno. Terzo equivoco: scambiare la riparativa per una terapia delle emozioni. Non lo è. È un metodo con regole, filtri di idoneità, volontarietà delle parti, tutela rigorosa delle vittime e cornici etiche e giuridiche precise. Quando mancano sicurezza, consapevolezza del fatto o condizioni minime di equilibrio, semplicemente non si fa. È, in altre parole, una possibilità adulta: affianca la pena, non la sostituisce; chiede responsabilità, non pacificazione forzata; produce chiarimenti, assunzioni di impegni e, talvolta, riparazioni concrete.

Il tema delle vittime è emerso come banco di prova della serietà del sistema. Dire che il carcere non è vendetta ha significato prendere sul serio i loro bisogni: verità, riconoscimento del torto, risarcimenti effettivi, protezione. La riparativa, quando percorribile, può offrire qualcosa che il processo spesso non dà: una parola diretta sull’accaduto, informazioni precise, impegni concreti. Non pacificazione forzata, ma giustizia che prova a ricucire ciò che è stato strappato.

La prospettiva minorile ha reso ancora più evidente l’urgenza del cambio di passo. La devianza giovanile chiede risposte tempestive, mirate, educative: mediazione penale, lavori socialmente utili, sviluppo di competenze, coinvolgimento delle famiglie e della comunità. In questo ambito la riparativa incide su due versanti decisivi: la responsabilizzazione del minore e la riduzione del danno per chi ha subitoL’errore non si cancella, ma può diventare un punto di ritorno verso la cittadinanza, a condizione che l’intervento sia esigente, monitorato e sostenuto da una rete di adulti competenti. È una scelta, questa, che non alleggerisce la risposta dell’ordinamento: la rende più selettiva e più utile, perché orientata a prevenire nuove offese.

Su ciò che funziona, l’incontro ha richiamato alcune leve concrete. I programmi devono essere differenziati: non esistono reati “qualunque” né biografie intercambiabili; violenza domestica, reati contro il patrimonio, dipendenze richiedono strumenti diversi. Lavoro e studio non sono benefit, ma condizioni per una ricaduta minore: competenze reali e legami con il territorio diminuiscono l’attrazione della recidiva. I percorsi responsabilizzanti, che esigono l’ammissione del fatto, la comprensione del danno e, dove possibile, la riparazione, danno sostanza alla finalità rieducativa dell’articolo 27 della Costituzione. Le misure alternative serie, infine, non alleggeriscono la pena: la orientano a un esito migliore, con controlli e obblighi che rendono verificabile l’impegno.

Perché questo dibattito è contato − e conta − oltre Mantova? Perché non ha riguardato soltanto una visione culturale, ma scelte concrete di bilancio, priorità istituzionali, formazione degli operatori e, soprattutto, la fiducia dei cittadini. Una pena ridotta a sola punizione non basta; una pena ridotta a solo progetto sociale tradisce la domanda di giustizia. La via stretta è una pena utile: ferma e proporzionata, ma misurata sui risultati e capace di restituire qualcosa di concreto alla comunità. Il contributo più prezioso emerso dall’incontro è proprio l’insistenza sulle metriche: indicatori chiari per valutare ciò che funziona e ciò che no, al riparo tanto della retorica indulgente quanto di quella punitiva. In questo senso emerge un’agenda realistica: chiarire principi, mostrare pratiche, distinguere gli strumenti efficaci da quelli simbolici, ancorare ogni scelta a obiettivi verificabili.

Aggiornato il 10 settembre 2025 alle ore 12:40