
Lo scorso venerdì, il 5 agosto, papa Leone ha inaugurato a Castel Gandolfo il Borgo Laudato Si. È un’oasi che occupa 55 ettari di terreno un tempo appartenenti alle Ville Pontificie, voluta fortemente da Papa Francesco per dare concretezza alle sue idee ecologiste. Questo nuovo spazio ospita un centro di formazione, ideato da due collaborati di Bergoglio, vero nucleo educativo del borgo, e una struttura agricola fondata sui principi dell’ecologia integrale. Papa Leone ha visitato le strutture della nuova realtà e nella celebrazione eucaristica ha tracciato la sua personale linea sulle tematiche ambientali – piuttosto in linea con il suo predecessore.
Meno di un mese fa Prevost aveva messo in guardia dal peggiore peccato: l’idolatria. L’idolatria dell’ambiente e della natura, soprattutto. “Bisogna prendersi cura del creato, senza esserne adoratori né schiavi”, aveva detto il pontefice rivolgendosi ai vescovi dell’Amazzonia. L’idolatria ambientale, se così posso definirla, non è però quella che si riscontra negli attivisti, negli ambientalisti che fermano il traffico per manifestare, o in tutte le iniziative a favore della sensibilizzazione verso la crisi climatica che stiamo vivendo. L’idolatra della natura è il capitalista, colui che domina il creato senza però ricordarsi che è anzitutto un giardino da coltivare. Nel messaggio inviato ai vescovi dell’Amazzonia a chiusura del sinodo di questa estate, Leone ha messo al centro del suo intervento la giustizia per i popoli e la cura della casa comune. Il caso dell’Amazzonia è emblematico: i vescovi, quasi cento, hanno stilato un elenco di questioni centrali non solo per il benessere del territorio amazzonico – a partire dal disboscamento sino allo sfruttamento minerario – ma di tutto il mondo. La natura si custodisce, non si venera. È questo il monito di Leone. ‘‘Dio Padre ha affidato a noi la casa come amministratori premurosi, affinché nessuno distrugga irresponsabilmente i beni naturali che parlano della bellezza del Creatore’’, ha detto il papa.
Nell’omelia tenuta al Borgo il pontefice è tornato a ristabilire il baricentro tra noi e la natura: “Siamo creature tra le creature, non creatori”.
Prevost richiama le parole di Papa Francesco presenti nell’enciclica Laudato Sì, e chiede di ‘‘recuperare la serena armonia con il creato riflettendola nei propri stili di vita’’. C’è la necessità di abbandonare l’idolatria del profitto, quella che rende a tutti gli effetti i capitalisti della natura i veri e propri schiavi del nostro millennio. Da una parte la schiavitù più evidente di tutti quelli che lavorano (sfruttati) nelle miniere, nelle foreste, nei fragili ecosistemi del pianeta; dell’altra, gli schiavi del profitto, coloro che vedono la creazione e assumono subito il ruolo del padrone. Gente che un giorno, tra qualche decennio o tra un paio di secoli, si renderà conto di non avere più nulla. Il creato, una volta consumato, non si ricrea per magia. Gli alberi ricrescono, ma non è detto che lo stesso ottimismo possa applicarsi alle risorse minerarie, alle terre rare (ultimamente al centro di contese post-belliche), al petrolio, all’acqua. A quel punto non ci saranno più capitalisti ma solo schiavi. Schiavi del nulla, schiavi della sopravvivenza.
Paesi come la Cina – fino a poco tempo fa emblema mondiale dell’inquinamento – si stanno imponendo come modelli per l’energia rinnovabile e le fonti energetiche alternative, mentre il nostro Occidente non sa che imporre idiozie, come le automobili elettriche. La nostra politica prende tempo e perde tempo, non sa proporre nulla che vada al di là di soluzioni sterili e infruttuose, coinvolgendo i cittadini in modelli forzati e costosi. Si spinge tanto per i bicchieri di bambù, i piatti di carta, le cannucce di mais, le macchine elettriche (il cui smaltimento del motore è cosa piuttosto problematica) ma si continua però a ragionare da padroni. Dubito che un idolatra della natura sappia a cosa va incontro. Il guadagnare, il fare profitto, eccita e confonde. Le risorse non torneranno per opera dello spirito, e ci troveremo a vivere in un pianeta vuoto, un guscio fragile. Il monito del Papa dovrebbe necessariamente far riflettere su quanto in realtà i nostri governanti, ma soprattutto gli imprenditori senza scrupoli e gli sfruttatori (degli esseri umani così come dell’ambiente), siano anch’essi schiavi, forse più di noi.
Aggiornato il 09 settembre 2025 alle ore 13:55