
Per l’Arma dei Carabinieri, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa è più di un’icona: è una sorgente continua di ispirazione. Il suo ricordo viene onorato non solo con cerimonie ufficiali, ma anche attraverso iniziative volte a trasmettere i suoi valori ai più giovani.
In occasione dell’anniversario della sua morte, i Comandi dei Carabinieri in tutta Italia affiggono locandine con una delle sue frasi più celebri: “Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli”. Questa scelta rivela la volontà di sottolineare non solo l’eroismo, ma anche la profonda umanità e il senso del dovere verso il futuro del generale.
L’Arma organizza anche mostre, come quella presso il Museo Storico di Roma, inaugurata in occasione del 40° anniversario della sua morte, avvenuta il 3 settembre 1982. La mostra, intitolata Carlo Alberto Dalla Chiesa, l'Uomo, il Generale (1982/2022), ha ripercorso la sua vita attraverso documenti, uniformi e cimeli, ricostruendo la sua straordinaria carriera al servizio dello Stato.
L’obiettivo è chiaro: mantenere viva la memoria di un comandante amato e rispettato, un “grande Carabiniere” la cui visione di uno Stato “fedele” al servizio dei cittadini rimane un pilastro della formazione di ogni militare.
E se l’Arma ne celebra l’eredità istituzionale, i figli Nando, Rita e Simona Dalla Chiesa hanno offerto al Paese un ritratto intimo e potente del loro padre, attraverso le pagine dei loro libri. In Un papà con gli alamari, scritto a più mani, emerge una figura lontana dall’immagine pubblica del generale integerrimo. È il racconto di un padre affettuoso, presente e persino giocherellone, un uomo che amava la bellezza e la semplicità delle piccole cose quotidiane.
Simona Dalla Chiesa, la figlia minore, ha spiegato il titolo del libro evocando il ricordo della divisa del padre, percepita con la tenerezza di un abbraccio. Il libro si apre con una toccante lettera-testamento che il generale scrisse ai figli mentre era in volo verso Palermo, un messaggio carico d’amore e di un presagio di solitudine. Accanto a questo ritratto privato, si staglia la denuncia forte e coraggiosa di Nando Dalla Chiesa nel suo saggio Delitto imperfetto. Pubblicato a soli due anni dall’omicidio, il libro è un’inchiesta lucida e spietata che non si limita a piangere un padre, ma punta il dito contro quelli che l’autore definisce i “responsabili morali” della sua morte. Nando Dalla Chiesa accusa apertamente esponenti della Democrazia Cristiana siciliana e vertici dell’Arma di aver isolato il padre al suo arrivo a Palermo come Prefetto, creando quel vuoto istituzionale che lo rese un bersaglio facile per la mafia. È un’opera che ha trasformato il dolore privato in un atto di impegno civile, diventando un testo fondamentale del movimento antimafia.
L’Italia intera ricorda il generale Dalla Chiesa in modo tangibile e diffuso. Il suo nome è impresso in centinaia di strade, piazze, scuole e caserme in tutto il Paese, a perenne testimonianza del suo sacrificio. Istituti come l’I.I.S.S. “Carlo Alberto Dalla Chiesa” di Montefiascone (Viterbo) e l’Istituto Comprensivo di Trappeto (Palermo) educano le nuove generazioni all’ombra del suo esempio.
Ogni 3 settembre, anniversario della strage di via Carini, le città di Palermo, Milano e Parma, tra le altre, si fermano per commemorare lui, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. Queste cerimonie vedono la partecipazione delle più alte cariche dello Stato, delle forze dell’ordine e di semplici cittadini, uniti nel rifiuto di ogni forma di criminalità organizzata. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in ogni anniversario, non manca mai di ricordare la figura del Generale Dalla Chiesa con parole di profondo rispetto e ammirazione. Nei suoi messaggi, il Capo dello Stato sottolinea costantemente come Dalla Chiesa sia stato un “esempio eccezionale di fedeltà ai valori della democrazia” e un “esemplare servitore della Repubblica”. Mattarella evidenzia la sua lucida visione strategica nel contrasto al terrorismo e alla mafia e come le sue intuizioni siano rimaste un “patrimonio comune” per chi ha continuato la sua battaglia. Il Presidente rimarca come il sacrificio di Dalla Chiesa abbia contribuito a scavare un solco incolmabile tra la società civile e la criminalità mafiosa, rafforzando la determinazione delle istituzioni nella difesa della legalità.
Oltre al ricordo commosso, cosa rimane oggi dell’eredità del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa? Rimane, innanzitutto, un metodo. La sua capacità di comprendere la complessità dei fenomeni criminali, di combatterli con strumenti investigativi innovativi e di cercare sempre un dialogo con i cittadini onesti, soprattutto i giovani, costituisce ancora un modello per chi opera per la giustizia. Rimane l’esempio di un uomo che non si è mai tirato indietro, che ha accettato l’incarico più difficile nel momento più buio, consapevole dei rischi ma spinto da un incrollabile senso del dovere. Rimane il coraggio di un figlio che ha saputo trasformare la rabbia in un’arma di denuncia, e l’amore di tre figli che hanno voluto condividere con il Paese l’umanità del loro “papà con gli alamari”.
Infine, rimane una speranza. La speranza, incarnata dalle tante scuole che portano il suo nome, che le future generazioni possano crescere con la stessa schiena dritta e lo stesso sguardo sereno con cui il generale Dalla Chiesa ha servito l’Italia, fino all’ultimo giorno.
(*) Dopo 43 anni dalla brutale uccisione per mano mafiosa, la memoria del generale Dalla Chiesa non sbiadisce. L’Opinione lo ricorda con uno speciale dedicato.
Aggiornato il 03 settembre 2025 alle ore 15:41