#Albait. Venice for Freedom: il tiro alla fune della libertà

L’arte si è divaricata. A Venezia, si confrontano Venice for Israel e Venice for Palestine. I due comitati contendono il campo culturale della maggiore kermesse cinematografica e artistica d’Italia. I pro-Pal parlano della sofferenza del popolo inerme. Il gruppo pro-israeliano rivendica il diritto alla difesa del popolo che uno Stato se lo è dato, nelle forme democratiche.

E la differenza tra i due comitati è anche nel dibattito pubblico. La pena per le immagini che arrivano da Gaza è enorme. La differenza è che Israele guarda quelle immagini con il filtro delle violenze subite dalle figlie e dai figli di Israele, tutti civili, stuprati e bruciati, torturati e mai restituiti, nemmeno da morti.

Quando si scontra la logica terroristica con una democrazia, misteriosamente una buona parte dei democratici si rifugiano nel tentativo di misurare le questioni con il metro liberale. Ma di liberalismo a Gaza non ce n’è nemmeno un pizzico. Hamas ha il monopolio di tutto, del potere politico, economico, sociale. Usa la religione come strumento di oppressione del proprio popolo e di massacro del nemico che individua in Israele perché è il bersaglio grosso della propaganda mondiale sin dai tempi dell’Antico Egitto. Diciamo che è un nemico “comodo” per ottenere finanziamenti e mantenere polarizzato il peggio del mondo musulmano.

In Italia, questo approccio ha molti proseliti. Al punto che nelle trasmissioni di approfondimento il racconto è sistematicamente a senso unico. Le orribili immagini del 7 ottobre e le condizioni miserrime degli ostaggi in cattività e quelli liberati non sono nemmeno presi in considerazione. L’ultima donna rapita e da poco liberata solo grazie all’azione armata dell’esercito israeliano, parla anche lei della frattura del pube per le violenze subite. E che sono continuate per mesi. A imporre queste torture due “civili”, un professore di scuola e un ingegnere. Ci sono civili e civili, in questa guerra. E molti sono anche parecchio incivili.

In un Paese dove si arriva a minacciare querela, ma anche la distruzione dell’auto o l’aggressione fisica fino alla morte per un parcheggio in strada, improvvisamente ci sentiamo tutti coinvolti nell’afflato di un copione scritto da media strategist terroristici. E ci cadiamo, anzi ci cadono, i conduttori di trasmissioni e di rubriche, fino ai cardinali. Magari loro con qualche pregiudizio antiebraico in più.

Ma quando è cominciata questa sarabanda antisraeliana? Nel 1945 le opinioni pubbliche mondiali, specie di sinistra, erano tutte con Israele. Poi, le posizioni delle potenze cambiano. In parte perché nessuno voleva accogliere i superstiti dei campi di concentramento, in parte perché c’erano due grandi problemi: le relazioni con i Paesi produttori di petrolio e il Canale di Suez. Risultato: la Russia diventa il principale sostegno dei Paesi arabi e avvia la costruzione della diga di Assuan.

In Occidente l’ordine è improvviso, arriva dalla sera alla mattina. Un amico mi racconta l’aneddoto del direttore de l’Unità che accoglie Pajetta in redazione che gli comunica il cambio di direzione editoriale. Più o meno gli dice “da oggi Israele è il nemico”. Ma il direttore è Federico Coen, ebreo, e glielo dice. Pajetta lo licenzia per questo. Inadatto alla nuova linea politica del giornale.

Oggi siamo eredi di quel giorno. La propaganda sovietica di molti decenni fa è ereditata dai contemporanei. E fa adepti nelle università. A Palermo un docente di Diritto civile fa un appello pubblico per eliminare ogni amicizia con qualsiasi ebreo. È incompatibile con l’insegnamento dice di nuovo Venice for Israel e Free4Future. Si aggiungono Socialdemocrazia Sd, un’associazione come Mec. L’ateneo ancora non sospende il professore ma, se non lo farà, i guai culturali saranno enormi.

E sì, molto parte da Venezia. Culla di questi giorni della nostra cinematografia, dove pensosi attori non riescono a sopportare le immagini degli attacchi a Gaza. Presto torneranno a casa, lasceranno l’albergone veneziano e continueranno a difendere lo stato criminogeno hamasita con la scusa dei civili colpiti. Come se volessimo combattere la schiavitù senza liberare gli schiavi.

Abbiamo bisogno di un Medio Oriente cooperativo e non bellicista. La strada è la diffusione della cultura democratica e liberale. Gli altri, quelli che si chiamano pro-pal, diffondono invece una cultura di morte, corteggiano la sub cultura infernale di Hamas che è regista e rea confessa della morte dei bambini palestinesi e israeliani.

Sta a noi non stare al gioco. Per fortuna è nata Venice for Israel.

Aggiornato il 28 agosto 2025 alle ore 16:05