
La giustizia sociale è ciò che ha fatto dell’Europa la culla dei valori dell’Occidente, una conquista fatta con il sacrificio nei secoli di tanta umanità che nel cristianesimo ha sviluppato la dimensione dell’umanesimo. La giustizia sociale è stata un valore condiviso dalla destra e dalla sinistra europea, nella sua evoluzione dalla società industriale a quella postindustriale e oggi, nella società digitale, sembra la Cenerentola dell’economia globalizzata. Certamente sono cambiati i meccanismi di confronto sociale e la tecnologia, per quanto utile, ha modificato il senso di percezione della realtà. Se da un lato sembra che l’eternità sia nostra sorella, dall’altro basta un fatto di cronaca nera per riportarci alla realtà che ci sfugge o che non vogliamo vedere. Il sistema politico mediatico, come una coazione a ripetere, inizia con dichiarazioni, interviste, dibattiti, talk-show come un rito scaramantico, affinché non si ripetano questi atti di violenza, ma non si considera che c’è anche il rischio di emulazione da parte di persone con fragilità psichica, il tutto per fare audience di una disgrazia.
Lungi da me voler censurare le notizie di questi atti o considerare negativo tutto il dibattito che ne consegue, il dramma è che dopo questa gran cassa mediatica, certamente importante per capire le motivazioni di questi comportamenti umani, il tutto finisce lì fino alla prossima disgrazia. Che fare? Prendere atto che il disagio sociale che vivono famiglie e i giovani dipende da vari fattori, per cui, una volta che si concorda sulle motivazioni psicosociali, mettere in piedi strategie nazionali per contrastare il degrado sociale. Non credo nel paradiso in terra, ma è possibile vivere e far vivere le famiglie in modo dignitoso? Penso di sì. E non è solo un problema economico, che certamente esiste, ma fa tanto anche vivere in una società dove sentimenti umani come l’odio, l’invidia, la competitività esasperata, il bisogno di affermazione, di possesso (il successo inteso come senso della propria esistenza ne è la versione perversa) e la rassegnazione vengono proposti come modelli di vita, invece di essere contrastati come sentimenti negativi.
Proposti da chi? Dal sistema comunicativo della nostra società dove tutti noi siamo attori, in un set dove manca il regista, la trama, ogni attore è lasciato a se stesso in una deriva dove si sono persi i valori comuni, il senso di solidarietà e di appartenenza, e prendono il sopravvento percezioni a volte anche molto distorte della realtà, dove emergono i pregiudizi e i mostri interiori dovuti alla paura e alla rassegnazione esistenziale di sentirsi abbandonati. Il problema della percezione di sé e della realtà è fondamentale per affrontare la vita. I nostri genitori che hanno vissuto il dopoguerra, si sono percepiti come pionieri che in modo solidale hanno ricostruito il Paese e faticato per dare un futuro ai loro figli. Noi che siamo stati i beneficiari del sacrificio dei nostri genitori stiamo vivendo e attraversando una profonda trasformazione sociale con contraddizioni spaventose: lo Stato sociale è peggiorato come la tutela dei lavoratori, molti ragazzi laureati e non sono lavoratori che con il loro guadagno non riescono né a comprare una casa né a mantenere una famiglia, si percepisce e si vive in una solitudine sociale.
Il postmoderno, la rivoluzione digitale, per quanto importante, tende ad omettere le esigenze sociali con grandi operazioni di distrazione di massa, sia mediante i fatti di cronaca nera, che con l’arrivo di un nuova pandemia e con le stesse guerre che affliggono l’Europa e il Medio Oriente. Che sono elemento di polarizzazione, e dunque, per quanto gravi, vengono utilizzate per dividere e isolare i cittadini nella dicotomia manichea pro Russia o pro Ucraina, pro Pal o pro Israele, come se fossimo in uno stadio ma, invece di osservare una partita, siamo bombardati dalla propaganda, per avere un nemico senza più distinguere i valori e gli interessi che animano le parti in causa.
Lo stesso linguaggio, che è quello strumento che ha permesso e che permette alla specie umana di convivere, di crescere e di creare una cultura condivisa, viene manipolato. La condivisione del senso delle parole che formano un linguaggio è un elemento fondamentale per qualunque comunità umana. Non so se le parole mantengono un contenuto ancestrale nell’evoluzione della cultura umana, ma è certo che modificarne il senso può disorientare e discriminare chi non si adegua. Le parole: descrivono un oggetto, definiscono una relazione, danno senso ad una opinione, definendo una realtà che però, se manipolata, è una “realtà” e non la realtà. Non dobbiamo contrastare i cambiamenti tecnologici ma governarli, mettendo al centro l’essere umano e i suoi bisogni, cominciando da quelli primari. Perché in questa società tecnologica e mediatica ci sono i poveri sia economici che intellettuali, e ometterli dai media – e dunque dal dibattito politico – può far credere che non ci siano e quindi abbandonarli alla solitudine del loro destino. Allora è più utile parlare del caso Garlasco o della zanzara del Nilo.
Aggiornato il 06 agosto 2025 alle ore 12:24