Evangelizzare al tempo di TikTok

Tra il 28 e il 29 luglio si è svolto a Roma il Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici. Quest’anno giubilare ha permesso l’incontro tra il Papa e diverse realtà attive nella Chiesa, gruppi di persone che dedicano parte della loro vita all’evangelizzazione. L’ultimo Giubileo ordinario, quello del 2000, presieduto da Papa Giovanni Paolo II, è stato anche l’ultimo anno santo senza social e con una presenza tecnologico-comunicativa ancora primitiva (se vogliamo fare un confronto con quanto c’è oggi a disposizione). A distanza di 25 anni è cambiato tutto: il mondo, la comunicazione, le istituzioni – ovviamente la Chiesa cattolica – e il modo di fare evangelizzazione. Questa meravigliosa parola, derivata dal termine greco euvangelizesthai, significa annunciare la vittoria. È il termine che racchiude la missione del cristianesimo e del cattolicesimo: portare a tutti l’annuncio della resurrezione, quindi della vittoria sul male (cattolico significa proprio presso tutti). Quello del trasmettere la notizia, evangelizzare appunto, è stato ed è ancora per molti un compito che dovrebbe assumere connotati più tradizionali, ovattati, senza gli eccessi che inevitabilmente i social portano con sé. Per molti è addirittura assurdo che nel 2025 esista ancora la necessità di evangelizzare, che potrebbe suonare come una forma più edulcorata di convertire, figuriamoci fare evangelizzazione sui social, che offrono continuamente forme nuove di assurdità, dalla diffusione di stili di vita problematici (come l’obesità o alcune pericolose challenge) alle fake news, molto difficili da arginare in tempi come questi, dove continui conflitti – uniti al crescente allontanamento dalla politica – sembrano quasi giustificare la diffusione di contenuti fake.

Ha senso evangelizzare in questo mondo (apparentemente) sempre più distante dalla spiritualità? Secondo: ha senso evangelizzare sui social, rischiando di inserire contenuti seri e profondi nel palcoscenico grottesco di TikTok o Instagram? Sono domande a cui ognuno può dare la sua personale riflessione. Sta di fatto che ormai la fede è un contenuto come un altro. Parlare di Chiesa, di peccato, di etica (dal punto di vista religioso) è come parlare di palestra, di cucina vegana o di geopolitica. Sono tanti i sacerdoti, le suore, così come i laici, completamente fagocitati dallo scintillante mondo social, che mostrano la loro vita quotidiana, l’attività in parrocchia, la giornata in seminario, le missioni, la pratica dei sacramenti.

La Chiesa ha risposto positivamente a questo fenomeno, che potrebbe svecchiare quell’evangelizzazione più o meno soft fatta di omelie episcopali, discorsi inquisitoriali o invettive di qualche cardinale contro coloro che non seguono la morale del Vangelo. Come a dire: mandiamo avanti gli strumenti nuovi, i nuovi operai della vigna. Anche se molti vescovi e porporati hanno grande seguito – tra l’altro aumentato notevolmente grazie all’ultimo social-Conclave – la strada intrapresa è quella del dare responsabilità ai giovani (ma non solo) attivi sui social, mondi popolati da persone in cerca di risposte e di nuova linfa spirituale. TikTok è diventata, per qualcuno, la nuova via di Damasco, dove fermarsi, ascoltare, e cambiare vita. Ci sono persone che hanno ritrovato la fede grazie a qualche prete (e la fauna clericale è davvero ampia: sacerdoti animalisti, preti palestrati, seminaristi alla moda, suore modelle) o laico. Molti ragazzi e ragazzi fanno delle live dove recitano il Rosario o altre preghiere; così come non mancano momenti di confronto con i seguaci, che magari pongono domande – soprattutto su temi etici e morale – a sacerdoti o suore. La Chiesa, come luogo e comunità, si sta sempre più traslando sui social. Chi è distante dall’istituzione – per infiniti motivi, dagli scandali alla semplice perdita di fede – si riavvicina alla Chiesa proprio partendo dall’ascolto di qualche evangelizzatore digitale, per poi magari fare ritorno a messa o incontrando il proprio parroco.

Papa Leone XIV, incontrando migliaia di soul-influencer (mi piace chiamarli così, influencer dell’anima) è partito da un’immagine: riparare le reti. Quelle fisiche, dei pescatori di anime, e quelle virtuali. Il pontefice, arrivato a sorpresa tra gli evangelizzatori 2.0, ha chiesto loro di essere “agenti di comunione, capaci di rompere le logiche dell’egocentrismo e di mettere Cristo al centro”. Ha proseguito Prevost: “Ci troviamo oggi in una cultura segnata dalla tecnologia. Sta a voi far sì che questa cultura rimanga umana”. Per il Papa è importante creare contenuti, ma è fondamentale usare i social per incontrare le persone e le loro anime, favorendo contatti in grado di guarire la solitudine.

In Italia, così come nel resto del mondo, ci si aspetta un grande contributo da parte dei preti o delle suore influencer. Ma loro agiscono da persone interne all’istituzione, per quanto non possano magari ritenersi troppo vicine ad alcune posizioni della Chiesa. Quelli che però possono arrivare ad ancora più persone sono i laici. Il discorso è che magari a molti interessa sapere qualcosa sulla religione, sul cattolicesimo o sulla Chiesa, ma non necessariamente queste cose devono arrivare dalla bocca di un sacerdote. Come dire ‘"mi interessa molto la politica ma non ascolto i leader”. Tutto questo sempre per il fatto che molti non hanno fiducia in preti o suore (quelli che io chiamo gli impiegati della fede, spesso chiusi in ufficio o che risultano poco empatici verso che presenta i propri limiti o problemi) ma che comunque hanno interesse verso il sacro.

Ma ancora è presto per dire se l’evangelizzazione 2.0 stia facendo bene o abbia generato un cambiamento. Come tutte le strategie di marketing c’è bisogno di tempo. Tra qualche anno, sempre dati alla mano, si potrà confermare o meno l’attuale ottimismo verso questo gruppo di missionari digitali. All’istituzione servono numeri, cioè servono persone a messa (e offerte). Le Chiese sono piene di gente anziana. Le messe settimanali hanno un’età media di presenti molto alta. La domenica qualche giovane si vede, ma ancora non si può nemmeno lontanamente parlare di rivoluzione all’interno del popolo cattolico. Ripeto: questo ottimismo per i numeri virtuali, per i follower in aumento, per le live seguitissime, tutt’ora non trova corrispondenza nella realtà. Ma questo fa parte del gioco e si potrà dover accettare, tra qualche anno, che evangelizzare su TikTok è fare un buco nell’acqua.

Aggiornato il 31 luglio 2025 alle ore 10:41