
A oltre trent’anni dalla strage di Via D’Amelio, una delle pagine più buie della storia della Repubblica Italiana, l’ombra di un presunto tradimento nei confronti del giudice Paolo Borsellino continua a proiettarsi sul presente. Al centro di questa intricata vicenda vi è l’inchiesta “mafia-appalti”, un dossier esplosivo che il magistrato stava seguendo con grande interesse e che fu archiviato in circostanze e con una tempistica che ancora oggi sollevano interrogativi inquietanti.
L’archiviazione lampo a pochi giorni dalla strage
La richiesta di archiviazione dell’inchiesta “mafia-appalti” fu redatta il 13 luglio 1992 dalla Procura di Palermo, a firma dei sostituti procuratori Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato.
La richiesta fu vistata dall’allora procuratore capo, Pietro Giammanco, e trasmessa al giudice per le indagini preliminari il 22 luglio, appena tre giorni dopo l’attentato che costò la vita a Borsellino e agli agenti della sua scorta. L’archiviazione definitiva fu disposta il 14 agosto dello stesso anno.
Secondo la denuncia dell’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia Borsellino, il pm Guido Lo Forte non avrebbe informato il giudice dell’avvenuta firma della richiesta di archiviazione parziale durante un incontro avvenuto il 14 luglio 1992, cinque giorni prima della sua morte.
I magistrati di ieri e di oggi
I magistrati che si occuparono di quella controversa archiviazione hanno proseguito le loro carriere: Roberto Scarpinato, uno dei firmatari della richiesta di archiviazione, è attualmente senatore del Movimento 5 Stelle; Guido Lo Forte, l’altro firmatario, è oggi in pensione; Giuseppe Pignatone, all’epoca procuratore aggiunto, ha in seguito ricoperto l’incarico di procuratore a Reggio Calabria e a Roma.
Recentemente, insieme a Gioacchino Natoli, già presidente della Corte di appello di Palermo, Giuseppe Pignatone è stato indagato per favoreggiamento a Cosa nostra in relazione a un presunto insabbiamento di una indagine relativa alle infiltrazioni di alcune famiglie mafiose nella gestione delle cave di marmo in Toscana e nella gestione illecita degli appalti pubblici era stato evidenziato nel rapporto del Ros del febbraio 1991.
Un silenzio assordante e le ipotesi sul tavolo
Per anni, la discussione pubblica e mediatica sulle stragi del 1992 si è concentrata prevalentemente sulla cosiddetta “trattativa Stato-mafia”. Secondo l’avvocato Trizzino, si è imposta una “narrazione unica” che ha finito per minimizzare la portata del dossier “mafia-appalti”.
Molti organi di informazione sono stati accusati di aver trascurato o ignorato questa pista. Le ipotesi sul perché si sia arrivati a una così rapida archiviazione sono molteplici e allarmanti. La motivazione ufficiale addotta fu la mancanza di elementi sufficienti per sostenere le accuse in un processo.
L’avvocato della famiglia Borsellino ipotizza che l’archiviazione potesse essere un “messaggio di rassicurazione all’esterno”, per chiudere in fretta un’indagine che stava toccando gangli vitali del potere.
Un’altra ipotesi, supportata da diverse analisi, è che l’inchiesta fosse una “bomba” in grado di scoperchiare legami pericolosi tra mafia, politica e imprenditoria a livello nazionale, e che la sua chiusura fosse funzionale a evitare che queste connessioni venissero alla luce.
Infine, non va sottovalutato il clima di tensione e sospetto all’interno della Procura di Palermo, che lo stesso Borsellino definì un “covo di vipere”.
L’eredità di una vicenda irrisolta
A decenni di distanza, la vicenda dell’archiviazione del dossier “mafia-appalti” lascia in eredità un profondo senso di ingiustizia e la convinzione che non tutta la verità sulle stragi sia emersa. Restano aperti procedimenti giudiziari e nuove inchieste, come quella di Caltanissetta a carico degli ex magistrati Pignatone e Natoli.
L’opinione pubblica e gli esperti restano divisi sui reali moventi degli omicidi di Falcone e Borsellino.
Parlarne oggi: un dovere civile
Discutere di questa pagina oscura a 33 anni di distanza è fondamentale per diverse ragioni, innanzitutto onorare la memoria di due magistrati simbolo della lotta alla mafia e al suo potere economico. Perseguire una verità completa sulle stragi del 1992 e su eventuali depistaggi. Comprendere le profonde e ancora attuali connessioni tra mafia, affari e politica. Rafforzare le istituzioni democratiche dimostrando che non temono di affrontare le verità più scomode del proprio passato.
La sensazione che media ed esperti abbiano “dimenticato” questa vicenda è legata alla narrazione dominante sulla trattativa e alla scomodità di un’inchiesta che puntava il dito contro presunte responsabilità interne allo Stato e alla magistratura stessa.
Il ruolo della Commissione Parlamentare Antimafia
La Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Chiara Colosimo, ha riacceso i riflettori sul dossier “mafia-appalti” come possibile movente della strage di via D'’melio. Sono stati auditi personaggi chiave come l’avvocato Trizzino, gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno, il fratello del giudice Salvatore Borsellino e l’ex magistrato Gioacchino Natoli.
Il lavoro della Commissione avrebbe contribuito all’apertura della nuova inchiesta della Procura di Caltanissetta.
Qualcuno parla di “una vergogna senza precedenti” riportando il sentimento di chi vede nell’archiviazione del dossier “mafia-appalti” un tradimento del lavoro di Paolo Borsellino e un ostacolo deliberato all'accertamento della verità sulla sua morte.
La rapidità dell’archiviazione a pochi giorni dalla strage e la volontà di tenerlo all’oscuro rappresentano, per molti, una delle pagine più vergognose della storia della lotta alla mafia in Italia.
Aggiornato il 25 luglio 2025 alle ore 10:38