Ai neolaureati di 40 anni fa, una volta preso faticosamente atto della direzione che stava prendendo il mondo (“le lingue richieste sono il cinese e il finlandese”, dice un divertito e un po’ rassegnato responsabile delle risorse umane a un disorientato candidato che pensava di aver superato il colloquio) andava bene pure accasarsi provvisoriamente presso una società di consegna pacchi in attesa di tempi migliori. Per gli aspiranti colletti bianchi, anche la dimensione “ragazzo del Pony Express” aveva una sua coerenza formativa, anche iniziatica (pochi soldi, spese da gestire, la “durezza del vivere”, insomma), sapendo tuttavia che prima o poi il titolo di studio avrebbe fatto giustizia. I dottorini di questo disgraziatissimo secolo 21esimo, invece, al massimo possono negoziare un presente da magazziniere. Sempre se una volta inviato il CV, qualcuno si prenderà l’impegno di farti sapere qualcosa. Meglio, allora, un vespino scassato in giro per la città, (oggi si chiamerebbero rider, ma non è la stessa cosa), piuttosto che provare a impietosire qualche kapò del personale dell’ultimo supermercato di periferia. Soprattutto con una laurea in saccoccia, “questo pezzo di carta che ti aprirà le porte del mondo!”. E invece eccola l’eroina moderna che, armata di santa, indomabile, disumana pazienza postula 647 volte in 18 mesi.

La Bbc ha raccontato di recente la storia di Caitlin Morgan, laureata in finanza e contabilità, e dei 647 curricula inviati in 1 anno e mezzo. Per poi ritrovarsi ad accettare una proposta per un posto da tirocinante contabile. Quella di Morgan è probabilmente il caso limite di una realtà messa a fuoco molto bene dall’Institute of Student Employers: 1,2 milioni di candidature per 17mila posti vacanti in Gran Bretagna, nel 2024. Lo scorso anno sono state ricevute in media 140 candidature per ogni posizione disponibile per laureati. Dopo aver consultato 145 aziende che hanno assunto quasi 40mila nuovi laureati, la ricerca sostiene che le candidature hanno raggiunto il livello più alto degli ultimi 30 anni, con un aumento di oltre il 50 per cento rispetto al 2023. I dati mostrano che per ruoli finanziari come quelli per cui Caitlin si è candidata, sono state presentate in media 188 candidature per ruolo. E la domanda è: ne vale la pena? Se lo è chiesto pure Morgan. Vale la pena studiare 4-5 anni e prendersi una laurea per poi inviare in media 36 CV al mese, per essere immediatamente respinta in 150 occasioni e in altre 271 non aver ricevuto neanche una risposta? Forse no, anche se più che le competenze specifiche, valgono quei 2 o 3 escamotage per rispondere alle esigenze della macchina. Sì, perché c’è il sospetto che sia la cosiddetta l’intelligenza artificiale a “decidere” e selezionare le candidature giuste. Se i CV non sono scritti in modo da poter essere letti da alcuni programmi di screening dei curricula in cui l’Ia viene utilizzata per leggerli, l’unica risposta possibile è il rifiuto diretto alla candidatura.

La certificazione universitaria, dunque, conta fino a un certo punto. Bisogna saper “titillare” il mezzo meccanico nei punti giusti, scendere di livello, abbassarsi a ragionare come lui, adattarsi alla tecnica fino alla mortificazione. In polemica col mondo. E con se stessi. Nel Regno Unito, i neolaureati (con master) stanno virando sui supermercati, giusto per sbarcare (o sbracare) un po’ il lunario. La risposta è sempre la stessa. Le faremo sapere (senza Ia). Faisa Ali Tarabi, per esempio, 24 anni, di Bolton, ha raccontato di aver partecipato al processo di reclutamento nei supermercati Aldi solo per sentirsi dire che non c’era alcuna posizione vacante adatta. Ha una laurea in contabilità e finanza all’Università di Salford e un master in management alla Manchester Metropolitan University. In cerca di lavoro da quando ha completato il master nel gennaio 2024, dice di aver presentato domanda per circa 2mila posizioni. “Sono senza lavoro da 15 mesi − ha raccontato alla Bbc − e, a dire il vero, non cerco lavoro solo con le mie lauree. Sto cercando di ottenere tutto ciò che posso per il momento”. Compresa una posizione come magazziniere all’Aldi. L’azienda ha declinato l’offerta con un’email: “Finora avete fatto molto bene; tuttavia, al momento non abbiamo una posizione vacante che soddisfi pienamente i vostri requisiti”, aggiungendo che nei 12 mesi successivi potevano comunque aprirsi opportunità interessanti.

Il British Retail Consortium (Brc), che rappresenta i supermercati, conferma il boom di domande dei giovani laureati, perché le aziende hanno ridotto le assunzioni a causa dell’aumento dei costi a carico dei datori di lavoro e delle imminenti modifiche ai diritti dei lavoratori. Al contrario della realtà Neet (alla fine del 2024 il numero di giovani tra i 16 e i 24 anni che non lavorano, non studiano e non sono in formazione è al 13,4 per cento, quasi una persona su 7, il dato più alto degli ultimi 11 anni), i disoccupati di cui trattiamo non lo sono per mancanza di impegno, ma per mancanza di offerte. “Noi giovani non siamo schizzinosi: è che letteralmente non riusciamo nemmeno a trovare lavoro per pulire i bagni”, ha detto un giovane alla British Broadcasting Center.

Il numero di posti di lavoro offerti nel Regno Unito è sceso a 781mila nei primi tre mesi dell’anno, secondo gli ultimi dati dell’Office for National Statistics (Ons). Si ritiene che l’aumento del costo del lavoro stia inducendo le aziende a esitare nell’assumere nuovo personale. Ad aprile, l’aliquota dei contributi previdenziali nazionali a carico dei datori è aumentata, così come i salari minimi per le diverse fasce d’età. Le imprese chiedono modifiche urgenti alla nuova legge sui diritti dei lavoratori, in base alla quale saranno tenute a offrire a un lavoratore a zero ore un contratto a ore garantite basato sulle ore lavorate in un periodo di 12 settimane. La principale preoccupazione del settore del commercio al dettaglio è che il nuovo provvedimento rischia di rendere molto più difficile offrire lavori part-time, di causare una riduzione del personale e di ridurre la flessibilità nell’offerta di lavoro. Negli ultimi 5 anni, fa sapere il British Retail Consortium, quasi 250mila posti di lavoro sono andati persi nel commercio al dettaglio, e molti grandi rivenditori hanno già annunciato ulteriori tagli a causa dell’aumento del costo del lavoro, entrato in vigore ad aprile.

Aggiornato il 18 luglio 2025 alle ore 10:51