
Nuove demenziali abitudini si diffondono tra i giovani. L’ultima, in ordine temporale, consiste nel boicottare la prova orale dell’esame di maturità in segno di protesta contro i meccanismi di valutazione, l’eccessiva competitività della scuola italiana e la scarsa empatia del corpo docente. Ben quattro i casi di studenti in rivolta contro il sistema registrati nel Belpaese nell’arco di pochissime ore: tre in Veneto, a Padova, Belluno e Treviso, uno in Toscana, in una scuola privata di Firenze. Gli studenti in questione, denunciano a gran voce la “rigidità” del personale docente e la corsa “tossica” alla performance, sottolineando peraltro come l’attuale sistema di valutazione tenda letteralmente a schiacciarli e a ridurre le loro esistenze a un mero numero. “Non può essere un voto a rappresentare il nostro valore”, affermano indignati i giovani maturandi. “La scuola è dominata dal demone della competitività”, “gli studenti vengono stimolati a primeggiare e chi resta indietro viene calpestato e umiliato”, “i docenti non comprendono le nostre difficoltà umane”.
Ascoltando le ragioni dei giovani rivoltosi si comprende come la loro protesta, oltre a risultare alquanto sterile e per molti versi priva di ogni fondamento, tenda a ridursi a un banalissimo piagnisteo stracarico di fancazzismo, ipocrisia e di un’innata tendenza al vittimismo e all’autocommiserazione. I neosessantottini criticano i meccanismi di valutazione, però calcolano attentamente ogni singolo decimo necessario a raggiungere almeno l’agognato sessanta. Orbene, se realmente il sistema di valutazione è così scadente come costoro sprezzantemente affermano, perché presentarsi alle prove scritte? Perché decidere di boicottare soltanto la prova orale una volta acquisita la certezza matematica della promozione e magari superato il test di ammissione universitario (anche quello, guarda caso, basato su numeri e voti)? Quale sarebbe il senso di una protesta “zoppa” che ti conduce comunque a piegarti a tua volta al sistema? Non c’è. Questa ribellione è completamente insensata e del tutto inutile.
Di più: i finti rivoluzionari sostengono di non reggere lo stress emotivo connesso all’eccesso di competitività e le umiliazioni derivanti dall’eventuale verificarsi di performance poco soddisfacenti. Pretenderebbero, pertanto, di essere ascoltati, coccolati (più di quanto già lo siano) e tutelati dal rischio che possa sopraggiungere in loro uno stato di ansia o stress legato al pericoloso “demone” della competizione. Quale sarebbe ordunque la soluzione auspicabile per costoro? Ulteriore livellamento verso il basso, promozione di un ossessivo egualitarismo di maniera, smantellamento delle differenze individuali e dello stesso concetto di merito cotanto inviso a codesti studenti “annoiati”, perennemente in lotta contro la “tossicità” del lavoro e alla continua ricerca di escamotage validi ad ottenere il massimo della resa con il minimo dello sforzo.
Aggiornato il 15 luglio 2025 alle ore 10:41