
Targhino personale, casco per tutti e assicurazione: la mobilità privata si trasforma in funzione amministrata.
C’era una volta il monopattino elettrico: leggero, flessibile, accessibile. Un esempio concreto di come l’innovazione possa generare soluzioni spontanee ai problemi urbani, senza bisogno di piani quinquennali. Ma in Italia, si sa, ogni libertà è una minaccia. E così, anche un mezzo nato per semplificare la mobilità quotidiana finisce per essere inglobato nel consueto apparato di vincoli, obblighi e sanzioni.
L’ultimo tassello di questa mania regolatoria e della conseguente normalizzazione burocratica è arrivato ora, con la pubblicazione del decreto che impone l’adozione di un contrassegno identificativo, il cosiddetto “targhino”. A firmarlo è stato il Ministero delle Infrastrutture, che ne ha definito forma, requisiti e modalità d’applicazione: un adesivo plastificato, con sei caratteri alfanumerici, prodotto dallo Stato e distribuito dalla Motorizzazione civile. Non sarà legato al veicolo, ma alla persona che ne fa uso. Un dettaglio tecnico, all’apparenza, ma rivelatore nella sostanza: l’obiettivo non è disciplinare il mezzo, bensì schedare il conducente.
Tale misura si inserisce nella riforma del Codice della strada approvata nel dicembre 2024, che prevede anche l’obbligo di casco per tutti, l’assicurazione per la responsabilità civile e il divieto di circolazione al di fuori delle strade urbane con limite di velocità non superiore a 50 km/h. Tutte prescrizioni che, fino ad ora, erano rimaste sospese in attesa dei necessari decreti attuativi. Adesso entreranno in vigore nel giro di pochi giorni, con sanzioni comprese tra 100 e 400 euro per i trasgressori.
Un cambiamento di natura tecnica? Tutt’altro. È l’ennesima dimostrazione di una mentalità dirigista che guarda con diffidenza tutto ciò che nasce fuori dal perimetro dell’autorizzazione preventiva. L’innovazione non viene accolta, ma recintata, mentre il cittadino non viene neppure considerato un soggetto responsabile, bensì un potenziale evasore della norma da identificare, monitorare, sanzionare.
Il principio che guida siffatte scelte non è la proporzionalità, ma la tracciabilità. Si afferma così una logica in cui ciò che non è registrato, controllato e classificato viene considerato pericoloso. Si costruisce una burocrazia della mobilità in cui muoversi liberamente nello spazio urbano diventa un’eccezione, non la regola. E ogni mezzo che sfugge all’inquadramento normativo viene ricondotto all’ordine attraverso un sistema di obblighi pensati non per favorire la libertà, ma per gestirla.
A giustificazione di tutto ciò viene invocata, come sempre, la sicurezza. I dati ufficiali Istat relativi al 2023 raccontano però una realtà meno allarmante: gli incidenti che hanno coinvolto monopattini elettrici sono stati 3.365, con 3.195 feriti e 21 vittime. Una cifra in crescita e ancora sostanzialmente marginale rispetto al totale degli incidenti stradali (oltre 166.000) e in gran parte dovuta a infrastrutture inadeguate e convivenza urbana mal gestita. Applicare a questi numeri un modello repressivo più che educativo appare quindi sproporzionato e controproducente.
Nel frattempo, resta il mistero sul costo effettivo del “targhino”, senza il quale non si potrà procedere alla richiesta. L’assenza di detto dato non ha impedito l’entrata in vigore delle sanzioni, oltre a rendere impossibile per settimane ottenere legalmente il contrassegno. È la solita burocrazia che impone obblighi ancora prima di fornire gli strumenti per adempiervi e, nel contempo, scarica sul cittadino l’onere di orientarsi tra norme incomplete, decreti mancanti e uffici impreparati.
In parallelo, arriva anche il decreto sull’alcolock: il dispositivo che impedisce l’accensione dell’auto se il conducente recidivo ha assunto alcol. Anche qui, l’obiettivo dichiarato è la prevenzione, con un messaggio implicito che appare identico: l’individuo non è più considerato capace di autodeterminazione. Serve un dispositivo per impedirgli di sbagliare e una targa per farlo muovere. Serve altresì un casco obbligatorio anche se prudente. In breve: è necessario il permesso per vivere.
E così, ciò che era nato per essere semplice, economico e libero diventa complesso, oneroso e regolato. Il monopattino, da simbolo di autonomia urbana, si trasforma in emblema di un potere pubblico che non sa lasciare spazio. Anziché adattare le regole a una società che cambia, si preferisce piegare la società alle regole. Anche quando non servono, danneggiano, ovvero scoraggiano comportamenti virtuosi.
La vera questione non è pertanto se sia giusto indossare il casco o stipulare un’assicurazione. È chi decide, e in che modo. Se per proteggere un bene collettivo si cancellano scelte individuali, si perde non solo la fiducia, ma la libertà stessa. Quando muoversi richiede un’autorizzazione, innovare una deroga e comportarsi liberamente una registrazione, non si costruisce una società più sicura, ma soltanto più sorvegliata. Un targhino, invero, può sembrare poca cosa. In realtà rappresenta molto. Ricorda infatti che il vero confine tra libertà e potere non passa dai centimetri del parafango, bensì dalla capacità dello Stato di trattenersi. E questa capacità, oggi, appare sempre più debole.
Aggiornato il 07 luglio 2025 alle ore 10:22