
Anche stavolta ci aveva sperato. Aveva creduto fino all’ultimo istante che, dopo l’avvento al Soglio di Pietro di Papa Prevost, potesse realmente cambiare qualcosa rispetto al recente passato e si arrivasse finalmente a oltrepassare quell’impenetrabile cinta di omertà che da più di quattro decenni, ormai, custodisce gelosamente una verità troppo complessa e ingombrante per poter essere accettata. E invece no. Anche in quest’ultima occasione le cose non sono andate esattamente come lui, Pietro Orlandi, avrebbe tanto desiderato che andassero. Ancora una volta, una coltre di silenzio assordante è calata puntuale su Piazza San Pietro a ricordare a tutti, Orlandi in testa, che quella scomoda verità sul conto di Emanuela non s’ha proprio da sapere. O meglio, precisiamo, non s’ha neppure da cercare, come ha lasciato intendere tacitamente lo stesso Leone XIV, il quale, nonostante i ripetuti appelli provenienti dalla famiglia nelle scorse ore, si è ben guardato dal fare qualsivoglia riferimento al caso Orlandi durante l’Angelus della domenica. “Sarebbe stata una bella occasione e avrebbe fatto un bel gesto”, ha osservato dispiaciuto Pietro Orlandi dopo aver preso atto della mancata disponibilità del pontefice di ricordare Emanuela nel giorno in cui si celebrava il quarantaduesimo anniversario della sua sparizione.
“Evidentemente era necessario salutare la banda austriaca e il gruppo dell’infiorata. Sarebbe bastato dire: vi siamo vicini”, conclude amareggiato il fratello della giovane cittadina vaticana scomparsa a Roma, a soli quindici anni, il 22 giugno 1983. Ma invece niente. Ennesima occasione mancata ed ennesimo prevedibile silenzio da parte del pontefice, che, ancora una volta, prevale su tutto il resto e vanifica anche le residue speranze di Pietro Orlandi di poter fare luce sull’intricata vicenda. Al pari dei suoi illustri predecessori, pertanto, anche lo statunitense Robert Francis Prevost ha preferito correre per tempo ai ripari e trincerarsi dietro un inscalfibile scudo di silenzi che nascondono verità indicibili e segreti inconfessabili, coperti, da più di quattro decenni, da una sorta di “sigillo papale” voluto a suo tempo da Giovanni Paolo II. Un vero e proprio “segreto di stato vaticano”, insomma, che né Prevost né nessun altro pontefice potrà mai rivelare al prossimo, che Papa Wojtyła avrebbe imposto, già all’indomani della sparizione di Emanuela, al fine di dissimulare efficacemente la verità per tutta una serie di ragioni che rimangono tutt’oggi sconosciute.
Aggiornato il 25 giugno 2025 alle ore 15:57