Il Papa chiede pace “in nome del diritto internazionale”

Papa Leone XIV ha invocato, ancora una volta, la pace. Al termine dell’udienza generale, svoltasi in Basilica anziché in Piazza San Pietro, per il caldo di questi giorni a Roma, il pontefice, parlando “in nome della dignità umana e del diritto internazionale”, ha mostrato una forte preoccupazione per l’escalation tra Israele e Iran. “Ripeto ai responsabili ciò che soleva dire Papa Francesco: La guerra è sempre una sconfitta. E con Pio XII: Nulla è perduto con la pace tutto può esserlo con la guerra”. Proseguendo le catechesi sulla speranza, tema del Giubileo, Robert Francis Prevost ha rimarcato l’importanza di “essere responsabili del proprio futuro”. Per il Papa, “nessuno dovrebbe mai minacciare l’esistenza dell’altro. È dovere di tutti i Paesi sostenere la causa della pace, avviando cammini di riconciliazione e favorendo soluzioni che garantiscano sicurezza e dignità per tutti! Si tratta di camminare, prendendosi la responsabilità di scegliere quale strada percorrere. E questo grazie a Gesù! Carissimi fratelli e sorelle, chiediamo al Signore il dono di capire dove la nostra vita si è bloccata. Proviamo a dare voce al nostro desiderio di guarire. E preghiamo per tutti coloro che si sentono paralizzati, che non vedono vie d’uscita”.

Leone XIV ha invitato a “pensare alle situazioni in cui ci sentiamo bloccati e chiusi in vicolo cieco. A volte ci sembra, infatti, che sia inutile continuare a sperare. Diventiamo rassegnati e non abbiamo più voglia di lottare”. Il pontefice ha lanciato il proprio monito: “Il cuore della Chiesa è straziato per le grida che si levano dai luoghi di guerra, in particolare dall’Ucraina, dall’Iran, da Israele e da Gaza. Non dobbiamo abituarci alla guerra, anzi bisogna respingere come una tentazione il fascino degli armamenti potenti e sofisticati”. Secondo Leone XIV, “poiché nella guerra odierna si fa uso di armi scientifiche di ogni genere, la sua atrocità minaccia di condurre i combattimenti a una barbarie di gran lunga superiore a quella dei tempi passati”. Il Papa, salutando la delegazione internazionale Hope80, impegnata a promuovere la riconciliazione e la pace in quest’anno che segna l’80° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale, ha pregato affinché “la luce dell’amore divino e della fraternità arda sempre intensamente nei cuori degli uomini e delle donne della nostra unica famiglia umana”.

Sempre nell’udienza di oggi, in occasione del Giubileo dello Sport, il Papa ha tracciato le linee che intensificano e danno sostanza al suo discorso di pace. “In ognuna delle nostre città torniamo a costruire ponti dove oggi ci sono muri. Apriamo porte, colleghiamo mondi e ci sarà speranza”, ha incoraggiato. “Distinguere è utile, ma dividere mai”, ha osservato Leone. “Siamo pellegrini di speranza, perché fra le persone, i popoli e le creature occorre qualcuno che decida di muoversi verso la comunione. Altri ci seguiranno”. “Anche oggi le idee possono impazzire e le parole possono uccidere”, ha avvertito, ma “il comandamento che abbiamo ricevuto fin da principio è quello di un amore vicendevole. Esso è scritto nella nostra carne, prima che in qualsiasi legge”. E molto significativo – nella catechesi incentrata su Sant’Ireneo, vescovo di Lione, grande teologo dei primordi del Cristianesimo originario dell’Asia Minore – è anche il modo in cui il Papa è tornato a parlare di migranti: “Come ci fa bene ricordarlo qui, a Roma, in Europa! Il Vangelo è stato portato in questo continente da fuori. E anche oggi le comunità di migranti sono presenze che ravvivano la fede nei Paesi che le accolgono. Il Vangelo viene da fuori. Ireneo collega Oriente e Occidente. Già questo è un segno di speranza, perché ci ricorda come i popoli si continuano ad arricchire a vicenda”.

Aggiornato il 18 giugno 2025 alle ore 16:37