
Con la sentenza 68/2025, la Corte Costituzionale ha stabilito che è contrario alla Costituzione negare il riconoscimento della genitorialità da parte di due donne, la madre biologica (vale a dire colei che ha partorito), e la madre intenzionale, cioè quella che ha dato il proprio consenso alla Procreazione medicalmente assistita (Pma) all’estero. Ne dovremmo dunque dedurre che i padri potrebbero tranquillamente sparire, divenendo così una specie di optional! La sentenza in discorso è stata addirittura considerata “una sentenza storica”, in quanto consentirebbe a una coppia di donne di vedersi entrambe riconosciute legalmente come madri in Italia. Permangono tuttavia, nonostante questa decisione, diversi problemi che soltanto il Legislatore potrà dirimere, dal momento che nel nostro Paese la procreazione medicalmente assistita è permessa dalla Legge 40 del 2004 solo alle coppie eterosessuali (sposate o conviventi). Da tale precondizione ostativa è scaturita la pratica di coppie dello stesso sesso, nonché di donne single, che ricorrono alle tecniche di procreazione assistita recandosi all’estero. L’Udi (Unione donne in Italia) ha espresso la sua soddisfazione per la citata sentenza, ritenendola “un passaggio fondamentale verso il pieno riconoscimento della pluralità delle famiglie e dei diritti delle bambine e dei bambini nati all’interno di coppie lesbiche. Detto organismo ha altresì sostenuto che non esistono famiglie di serie A e famiglie di serie B: la genitorialità non si misura sulla base di modelli imposti, ma sul terreno della responsabilità, della cura, dell’amore. Il riconoscimento legale della madre intenzionale non è un privilegio concesso, ma un diritto dovuto ai minori e una garanzia di equità giuridica”.
A fronte di queste farneticanti dichiarazioni degne di miglior causa, riteniamo utile qualche riflessione: in rerum natura non esistono cuccioli con due madri o due padri, per cui la riforma che si vorrebbe contrabbandare come segno di progresso civile e finanche di diritto dei bambini, è in realtà una norma destinata a nascere intrinsecamente “iniqua”, cioè contraria alle leggi di natura e all’etica. Il bambino necessita di una figura materna e di una paterna, e se viene a mancare una delle due, certamente subirà un trauma affettivo, ma non intellettivo, mantenendo sempre ben chiara la distinzione dei ruoli e la differenza che la Natura ha assegnato ai due diversi generi. Ponendolo viceversa innanzi a due madri, ne subirà una distorsione psicologica che potrà arrecargli solo danno: il bambino non è un peluche o un animale da salotto, atto ad appagare egoistici desideri di maternità che non trovano riscontro nell’ordine naturale. Parlare di un diritto del bambino ad avere due madri (e perché non due padri?), è un oltraggio all’intelligenza, un’affermazione apodittica, un atto di estremo egoismo, che degraderebbe il fanciullo da soggetto di diritto, a oggetto di egoistico desiderio di una maternità “di complemento” al di fuori di ogni logica. L’etica è da sempre un prius rispetto alla norma scritta, che da essa non può prescindere se non al prezzo di tradire le aspettative del singolo individuo, che sceglie di vivere associandosi con i suoi simili per realizzare più efficacemente-tramite la dimensione sociale (quella dello Stato in particolare) i diritti naturali che gli appartengono sin dal suo primo respiro.
Nel I secolo dopo Cristo, Giovenale scriveva Maxima debetur puero reverentia, con ciò significando la centralità del fanciullo come soggetto del diritto e la necessità di tutelarlo quale futuro cittadino, cardine di quella civiltà che sarebbe assurta al ruolo di culla del diritto in tutto il mondo civile. A distanza di secoli, se ne è avuta oggi conferma anche nella Cina contemporanea, dove il diritto romano è stato tradotto in cinese ed è studiato in tutte le università dell’ex Celeste impero, assurgendo a sistema normativo nel campo del diritto privato ivi vigente. Attualmente è insegnato in ben 120 università, per dare un compiuto sistema di regole civilistiche alla società post-maoista. L’etica non è cangiante come le norme scritte, ma è l’espressione di una giustizia universale, sempre e dovunque innata nel sentire latente di ogni popolo; essa è compiutamente percepibile solo attraverso la cultura, che non è indottrinamento dell’uno ai danni dell’altro, bensì – per dirla con Gian Domenico Romagnosi – istruzione educante al ragionamento, attraverso la quale a ognuno è dato conoscere il vero, il buono, il bello, il giusto. Un diritto senza etica è un corpo senza anima, una notte senza stelle, un giorno senza sole. Non possiamo esimerci dal concludere la nostra riflessione con la sconsolata frase del nostro indimenticato maestro del diritto processuale civile, Virgilio Andrioli, che mezzo secolo fa alla Sapienza affermava: “L’Italia è la culla der diritto, ed er diritto ce s’è cullato così bene, che s’è addormito e nun se sveja più”. Oggi noi, modesti allievi, temiamo che il diritto possa cadere in un coma profondo ed irreversibile, sino alla morte. Se venisse introdotto il reato di “oltraggio all’intelligenza”, qualche giurista dovrebbe tremare!
Aggiornato il 03 giugno 2025 alle ore 13:56