
Trentatré. Tanti sono gli anni ormai trascorsi da quel tragico 23 maggio 1992, il giorno in cui, nei pressi di Capaci, un vile attentato terroristico-mafioso strappò brutalmente la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo, e a tre degli agenti della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Da allora, Giovanni Falcone è legittimamente divenuto il simbolo della lotta alla criminalità e al malaffare, e, a partire dal 2002, nel giorno della sua scomparsa (il 23 maggio, come detto), è stata istituita in Italia la cosiddetta “giornata della legalità”, al fine di commemorare le vittime di tutte le mafie e ricordare degnamente la cruenta Strage di Capaci.
Eppure, al netto delle celebrazioni di rito e del doveroso ricordo di un emblema di rettitudine e integrità morale quale fu Giovanni Falcone, permane tuttora nel Belpaese un inscalfibile substrato di omertà e ipocrisia che non rende onore né alla memoria del magistrato palermitano (e delle altre povere vittime della feroce strage), né tantomeno all’immagine del Paese e delle sue istituzioni. Sui fatti di Capaci, del resto, come pure sull’intera stagione delle stragi che più di trent’anni or sono insaguinò l’Italia seminando in lungo e in largo caos, distruzione e panico, si è sempre preferita la via del ricordo a quella della verità, vendendo spesso all’opinione pubblica una realtà solo parziale e deliberatamente depurata dal nucleo centrale di quelle vicende che condussero poi ai violenti attentati di inizio anni Novanta.
Annoverare Capaci alla voce “strage di matrice mafiosa”, e i suoi morti come “vittime di mafia”, risulta infatti un esercizio fuorviante e fin troppo semplicistico, che peraltro mal si concilia con la realtà dei fatti e con il sacrosanto desiderio di rendere omaggio alla memoria dei caduti. L’attentato a Giovanni Falcone, d’altronde, non può certo essere letto alla stregua di un semplice “delitto punitivo”, ovverosia attuato da Cosa Nostra con l’intento di rivalersi nei confronti del magistrato che aveva istruito quel maxiprocesso di Palermo che aveva inflitto, appena poche settimane prima della strage di Capaci (la sentenza di Cassazione è datata 30 gennaio 1992), delle condanne pesantissime ai boss mafiosi siciliani, bensì, come un “delitto preventivo” concepito da “menti raffinatissime”, le stesse di cui ebbe a parlare in più occasioni lo stesso magistrato siciliano, probabilmente per evitare che Giovanni Falcone potesse addivenire a conclusioni in grado di ledere anche interessi di altro genere.
La stagione delle stragi, inoltre, va debitamente contestualizzata e inserita in una più ampia cornice di riferimento, quella di fine Repubblica, conseguente al rovinoso crollo dell’Urss e all’archiviazione della logica dei due blocchi, contraddistinta nel Belpaese da una burrascosa e repentina fase di profondissimi e irreversibili mutamenti. Un radicale cambio di paradigma pensato per spostare a sinistra gli assetti democratici preesistenti, come qualcuno ebbe a definirlo, progettato oltreoceano già all’indomani del crollo del Muro di Berlino, e concretizzatosi in Italia a partire dal 1992, l’anno delle stragi, ma anche quello dell’avvento dell'imponente tempesta giudiziaria consegnata agli annali con il nome di Tangentopoli, che avrebbe contribuito a radere definitivamente al suolo la Prima Repubblica e i suoi principali protagonisti. Due eventi, le stragi e Mani pulite, che, a ben vedere, si intersecano in più punti tra loro come tessere di un unico mosaico, legati peraltro da un medesimo fil rouge con alcune note inchieste giudiziarie condotte verso la metà degli anni ottanta dall’Fbi, con la collaborazione, tra gli altri, anche di alcuni noti appartenenti alla Magistratura italiana, a cominciare proprio da Giovanni Falcone.
È proprio da qui, dalle indagini condotte di là dell’Atlantico dal giudice palermitano, che bisognerebbe ripartire al fine ultimo di fare maggiore chiarezza sugli eventi criminali di Capaci e di onorare nel migliore dei modi possibili la memoria di un uomo che ha sacrificato la propria vita in nome della legalità, ricevendo in cambio dal suo Paese tante cerimonie e molti onori sempre tuttavia accompagnati da intenzionali omissioni, colpevoli silenzi e parziali verità.
Aggiornato il 23 maggio 2025 alle ore 09:50