
Robert Francis Prevost avrebbe meditato inizialmente “alla possibilità di chiamarsi Agostino”. Lo rivela al Fatto Quotidiano il cardinale Fernando Filoni, diplomatico vaticano di primo piano. “Alla fine – sottolinea – ha pensato che fosse meglio Leone”. Nella Cappella Sistina, Filoni e Prevost erano seduti allo stesso tavolo, il primo a sinistra guardando il Giudizio universale di Michelangelo. “Personalmente sono molto soddisfatto” di questa elezione “ma credo di poter dire che tutti quelli che ho incontrato, tra i confratelli cardinali, hanno manifestato grande soddisfazione e gioia – rimarca – che si sono rafforzate anche attraverso la simpatia umana e la cordialità che Papa Leone ha espresso subito. Dunque, è una scelta che veramente ci ha lasciati contenti”. Inizialmente Filoni si è sorpreso della scelta del nome. “Evidentemente lo aveva pensato perché ha detto che si ispirava molto a Papa Leone Magno che è stato un grande pontefice del V secolo, quando un po’ le invasioni barbariche mettevano a dura prova la città e lui lavorò per salvare Roma dalla distruzione”, spiega. “Successivamente aveva pensato anche a Leone XIII, perché era colui che aveva preso a cuore, nel momento del grande cambiamento della Rivoluzione industriale, proprio il lavoro e la dignità della persona. E ha detto che questo sarà uno degli aspetti più importanti del suo pontificato, cioè l’attenzione alla dignità umana perché senza lavoro la dignità umana si perde”, conclude.
Dalle notizie di stampa emerge un altro racconto affascinante. Il cardinale Louis Raphael Sako era seduto alla destra del futuro Leone XIV in Cappella Sistina. Quando si avvicina l’elezione a pontefice di Robert Francis Prevost non c’è stata “nessuna tensione. Era sereno ed è rimasto sereno. Secondo me era quasi convinto perché fin dall’inizio ha avuto tanti voti, che poi sono aumentati e aumentati. Era sereno”. Lo spiega a Repubblica il cardinale, patriarca di Baghdad dei caldei. “Non lo conoscevo prima. Abbiamo parlato, è un uomo semplice, umile, sereno”, prosegue. “Alla fine, quando il numero di voti è cresciuto e cresciuto, era un po’ commosso. Ma è normale, capiterebbe a ciascuno di noi. Fino all’ultima votazione era tutto normale, poi i voti aumentavano, e allora io ho scherzato un po’. Nel 2014 io ho partecipato al sinodo sulla famiglia, e quando ho presieduto ho raccontato qualche barzelletta per sciogliere un po’ la tensione – ricorda – perché c’era un’atmosfera molto seria. Io pensavo che non fosse normale, siamo cardinali ma anche uomini. Il Papa mi disse che avevo fatto bene”. Durante il Conclave “ho fatto solo qualche commento scherzoso sul processo elettorale un po’ rigido.Nella nostra tradizione eleggiamo il patriarca il sistema è più flessibile, qui i canoni hanno una rigidità assoluta. Lui sorrideva”. Alla fine dell’elezione gli ho detto che “bisogna che pensi al Medio Oriente dove c’è molta sofferenza e ingiustizia. Il futuro dei cristiani in quella regione è essere o non essere”, conclude. “C’è bisogno della nostra amicizia e della nostra vicinanza. E lui era d’accordo”.
Frattanto, il cardinale elettore Marcello Semeraro, ministro vaticano delle Cause dei santi, spiega alla Stampa che Papa Leone XIV “non sarà una fotocopia del predecessore e anche per noi cardinali italiani il suo pontificato costituirà una forte sollecitazione ad allargare lo sguardo verso una dimensione autenticamente globale della fede. Si pensava che un conclave mai così numeroso e internazionale avrebbe avuto difficoltà a trovare una sintesi e invece in quattro votazioni siamo arrivati alla fumata bianca”, prosegue. “È il segno di una Chiesa unita”. Per questo pontificato ci sono “delle nuove e drammatiche sfide. La scelta del nome di Leone, lo ha detto lo stesso Papa, rimanda alla figura di Leone XIII e alla Rerum Novarum che nel 1891 inaugurò di fatto la dottrina sociale della Chiesa”, sottolinea Semeraro. “Quanto al mondo di oggi, le novità ci sono al punto da far dire a Francesco, in una allocuzione di sei anni fa, che ‘quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca’. È davvero così”. Per Semeraro, “la sfida di oggi non riguarda Dio, ma l’uomo stesso. Mi tornano alla mente due frasi: la prima è di Eugène Ionesco: Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento molto bene. La seconda di Hetty Hillesum che nel suo diario, sotto forma di preghiera a Dio, scrive: Tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. Vale anche per Leone”, conclude.
Aggiornato il 14 maggio 2025 alle ore 15:46