Papa Francesco: un “fratello” gesuita

Jorge Mario Bergoglio è stato il primo Papa gesuita della storia. Gli affiliati, quindi anche i cardinali, appartenenti all’Ordine ecclesiastico dei gesuiti si distinguono perché dopo il nome ci sono le iniziali “SI”, ovvero Societas Iesu”, “Compagnia di Gesù”. Una distinzione che ricalca la peculiarità dell’Ordine. Il cardinale Bergoglio era noto in Argentina già nel 2005 quando si stava procedendo all’elezione del nuovo Papa. Allora fu eletto il cardinale tradizionalista Joseph Aloisius Ratzinger, poi Papa Benedetto XVI. Bergoglio durante la sua carriera argentina, da giovane, aveva raggiunto la carica di “provinciale”, per chiarezza “superiore regionale”. Ma a quanto risulta da testimonianze lasciate dai sui “colleghi d’Ordine”, era molto divisivo, a tal punto che la “provincia argentina” si spaccò tra quelli a favore di Bergoglio e quelli contro. Una spaccatura che, abbastanza notoriamente, ha caratterizzato il modus operandi di Francesco interno al “Sistema vaticano”, al di là della propaganda politica espressa “fuori le mura”, e che lui stesso in molte occasioni ha palesemente manifestato. Tuttavia nella Compagnia di Gesù, quando fu eletto pontefice nel 2013 in coabitazione con Benedetto XVI, mai accaduto nella storia, molti “fratelli SI” sostenevano che Bergoglio avesse lasciato l’Ordine proprio dopo la sua elezione al Soglio.

Quindi era opinione che questo ex gesuita, insoddisfatto di come l’Ordine stava operando, potesse avere l’obiettivo di riformare la Compagnia di Gesù. Ricordo che il diritto canonico detta che quando un gesuita viene nominato vescovo è “sciolto dai voti religiosi”, tuttavia la maggior parte dei vescovi e cardinali non lasciano mai la loro appartenenza ai gesuiti. Insomma, una volta “iniziati” gesuiti si resta tali. Ma nei meandri dei misteri e dei corridoi vaticani non era sconosciuta la reputazione non proprio limpida che la Compagnia di Gesù nutriva verso il neo Papa. Tanto è che in un’intervista rilasciata dal sommo pontefice, alcuni mesi dopo la sua elezione, al quotidiano Civiltà Cattolica, nella persona dell’allora direttore Antonio Spataro, dal 2023 sostituito da Nuno Henrique Sancho da Silva Gonçalves, chiaramente gesuita, dichiarò che durante il suo incarico da “provinciale” in Argentina, allora aveva trentasei anni, dovette affrontare situazioni estremamente difficili e che senza alcun coinvolgimento di altri, dovette prendere delle decisioni drastiche e inaspettate. Ovvero applicò il principio del “discernimento”. Comunque, appena eletto al Soglio pontificio tenne a sottolineare la sua appartenenza all’Ordine. Francesco si recò così nel quartier generale di Roma dove risiede la Curia dei gesuiti, per incontrare il superiore generale dei gesuiti, Adolfo Nicolás, deceduto nel 2020. L’incontro che fu condiviso dai gesuiti di tutto il Pianeta suggellò la prima parte del suo vincolo all’Ordine. Legame che fu poi piombato alcuni giorni dopo quando fu rilasciato il nuovo sigillo papale che presentava al centro l’emblema della Compagnia di Gesù: la scritta Ihs con la croce sull’h. Così fu evidente che Papa Francesco era ancora gesuita.

Durante il suo pontificato adottò spesso anche il “lessico gesuita” che ovviamente era pienamente comprensibile ai suoi “fratelli” mentre agli altri destava perplessità, così spesso questi dilemmi hanno sollevato critiche ai suoi discorsi, a tal punto che parole e azioni spesso venivano fraintese dai “profani”. Tuttavia la sua “identità gesuita” era evidente e penetrante. Un linguaggio che esprimeva la spiritualità gesuita, o più generalmente ignaziana, ma anche intesa come azione. Proprio le sue azioni spesso sono state sotto accusa da parte della comunità esterna al “gesuitismo”, perché derivanti dall’agire come narrato dal fondatore dell’Ordine Ignazio di Loyola (1491-1556); come la preghiera o la formulazione di un giudizio in funzione dell’esigenza, ovvero “discernimento”. Per Bergoglio la modalità principe della preghiera era quindi affidata alla “contemplazione ignaziana”, dove chi prega deve immaginarsi in una scena del Vangelo. Infatti, nella sua prima omelia pasquale utilizzò la parola chiaveimmaginare” al fine di favorire la disposizione della congregazione nella scena, o “comporre il luogo”, come citava Ignazio di Loyola.

Ma anche la meditazione era una prerogativa della tecnica ignaziana, come quella usata da Francesco in Piazza San Pietro durante la pandemia nel 2020, quando chiese ai fedeli di immaginare il Mare di Galilea, sulla barca con Gesù, durante una tempesta. Molto discutibile a tal proposito la gestione della pandemia in Vaticano. Ma anche la povertà e come scritto il discernimento sono delle caratteristiche ignaziane, che non dovranno distogliere l’attenzione su un Ordine con nette tracce iniziatiche, che fa dell’associazionismo un punto cardine all’interno del Cattolicesimo, ma anche in buona parte dell’umanità. Magari in compagnia di altri ordini non ecclesiastici ma dalle liturgie simili e con simili identità. Probabilmente la “filosofia ignaziana” difficilmente con il nuovo Pontefice lascerà le Mura vaticane. Anche alla “luce” di un Conclave di cardinali elettori modellato dal gesuita Bergoglio in dodici anni di papato. Salvo i consueti “complotti da Conclave”.

Aggiornato il 24 aprile 2025 alle ore 12:11