Il pontificato più divisivo

I pontefici della Chiesa “moderna”, se così possiamo definire quella plasmata dagli esiti del Concilio Vaticano II, sono stati Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Di Albino Luciani e di Joseph Aloisius Ratzinger i giudizi post-mortem sono piuttosto complessi da fornire (il primo perché è morto dopo un mese di pontificato, concluso in maniera tra l’altro ancora controversa; del secondo si dovrebbe piuttosto parlare di una morte “dilatata”, poiché è deceduto dieci anni dopo il ritiro dal soglio pontificio). Di Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II invece ci fu un giudizio di unanime apprezzamento. Angelo Giuseppe Roncalli era il papa buono, l’anziano patriarca che ha trasformato un Governo di transizione in un pontificato davvero rivoluzionario. Giovanni Battista Montini era l’intellettuale che non si è mai sottratto agli impegni sociali, agli scontri diretti, alle insidie della Liberazione e degli attivismi degli anni Settanta, dove per altro non erano rari duri attacchi alla figura del vescovo di Roma. Di Karol Józef Wojtyła, al di là degli aspetti opachi legati ai rapporti col comunismo, agli scandali economici, si disse prontamente “Santo subito”. La stampa, su queste tre figure, fu comunque tendente a valutazione positive. Per Jorge Mario Bergoglio si sente più che altro l’etichetta di “papa divisivo”. Mi verrebbe da dire che ognuno raccoglie quello che semina.

Forse i giornalisti dei decenni passati erano meno irriverenti e confidenziali; forse gli stessi Roncalli e Montini – e anche lo stesso Wojtyla – sapevano ben evidenziare il loro ruolo e così distanziare gli attacchi personali. Forse, il pontificato di Bergoglio è piaciuto più a qualche laico che non ai più devoti (e magari conservatori) e questo ha portato i lavoratori della comunicazione a un approccio quasi dovutamente confidenziale con la figura del papa. Sta di fatto che Francesco è morto da due giorni e non c’è la minima traccia – parlo della televisione – di raccoglimento, quasi di freddezza istituzionale, che si manifestava negli anni passati alla morte di qualche pontefice. Si parla di Bergoglio come di un qualsiasi primo ministro o presidente. Non c’è più quella reverenza che nei decenni passati ha contraddistinto i rapporti tra il papa e gli altri, giornalisti e comunicatori in primis. Nei talk si è parlato addirittura di pontificato “fallimentare”. La verità è che Bergoglio ha scontentato tutti e non ha accontentato nessuno. I progressisti, quelli esaltati dal suo ambientalismo e delle sue uscite su Lgbt e donne – diciamo la gente che vota Pd e che votava Nichi Vendola – pensava di trovare un rivoluzionario, un prete di strada, un pontefice arcobaleno pronto a riforme colorate. Questi sono i primi insoddisfatti. È però gente spesso non religiosa, poco affiliata, incline al laicismo più ferreo. Non è gente che finanzia la Chiesa e le sue opere (quelli che danno le offerte, ormai, sono i conservatori e al massimo i moderati, che magari vanno a Lourdes e a Međugorje). Gli altri insoddisfatti sono i tradizionalisti, che come minimo speravano in un pontificato in linea con quello di Ratzinger, e quindi rispettoso della tradizione liturgica, della dottrina e del depositum fidei. Bergoglio non ha cambiato nulla. È come se dalla morte dilatata di Ratzinger non ci fosse stato nessuno. Lo stesso Benedetto XVI, grande teologo, con le sue dimissioni ha scritto una pagina dottrinale di grande importanza storica.

A Bergoglio si deve riconoscere l’impegno autentico, non teatrale, bensì profondamente sincero verso gli ultimi, i sofferenti, verso tutte le persone per cui ha mostrato empatia e cristiana vicinanza. Ha parlato di ambiente, ma come farebbe un qualsiasi attivista. I progressisti erano già eccitati all’idea di un papa pronto a benedire le famiglie arcobaleno, e poi ha parlato di “frociaggine”. Le donne-teologhe-lesbiche-non binarie pensavano a qualche apertura su un loro coinvolgimento sacerdotale, e poi ha parlato di certe donne definendole “zitelle” e “acide”. Da che parte stava? Cosa aveva davvero in mente? È così difficile capire cosa passa per la testa di un gesuita? Non c’è un solo aspetto di questo pontificato che unisca le due (o tre, o infinite) parti. Il suo stesso temperamento, il suo carattere spigoloso, la sua semplicità liturgica, a molti non sono piaciuti. Qualcuno ancora vorrebbe un papa distante come Pio XII, che comunque era meno distaccato di quanto si pensi.

Le dimissioni di Ratzinger, in molti, hanno creato un profondo smarrimento. Come diamine è possibile avere due papi insieme? Nessuno crede alla storia che il papa è uno. Benedetto XVI ha continuato ad avere influenza, ha continuato a tirare verso di sé un discreto numero di porporati (non solo i suoi) e un più che discreto numero di cattolici. Per quasi dieci anni la Chiesa ha avuto due pontefici. Qualcuno Bergoglio non lo ha nemmeno riconosciuto. E non parliamo di gente necessariamente infervorata che vive con le lampade a petrolio: spesso si è trattato addirittura di moderati. Per non parlare del fatto che da un decennio a questa parte c’è stata – almeno nell’Occidente cattolico – una evaporazione della trascendenza, e il vuoto lasciato dallo spirito è stato riempito dalla materia. Lo spazio del sacro è diventato lo spazio del nulla.

Non è stato fatto nulla per impedire questo smembramento della spiritualità. Il periodo del Covid poteva essere il momento ideale per ristabilire la centralità della trascendenza, e invece si è deciso di trasformare le liturgie in prove generali di attacco nucleare. Le messe erano un continuo disinfettarsi le mani, fare inchini, mettersi i guanti, mettersi le mascherine. Si entrava in Chiesa, si timbrava il cartellino, si sentiva passivamente la messa, poi di nuovo il cartellino e via a casa. Tutto questo è responsabilità del pontificato. La religione comunica per simboli. E i simboli di questi anni sono ologrammi grotteschi. Il Cattolicesimo occidentale è diventato una religione turistica, mordi e fuggi. Il Vaticano non dovrebbe essere una sorta di Ministero della magia, non dovrebbe essere una burocrazia dell’anima. Adesso, purtroppo, è così. È per questo che il Conclave deve guardare a quelle terre dove la religione è linfa, dove la fede è coltivata con carisma, dove l’anima ancora prevale sulla materia. Il prossimo pontefice deve ristabilire il baricentro del sacro, dell’ordine liturgico, della dottrina. Francamente, alla Chiesa e ai cattolici non serve un mediatore tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky. Così come non serve il papa miracoloso che metta fine al conflitto tra Israele e Palestina. Serve un papa che sia pastore, che sia guida per le anime, che si curi del sacro e che non giochi a fare l’attivista delle cause perse. La Chiesa Cattolica si trova in una situazione così delicata che un altro pontificato così divisivo potrebbe essere l’ultimo. Sperare per credere.

Aggiornato il 24 aprile 2025 alle ore 10:30