L’obesità sdoganata

Oggi si celebra la Giornata mondiale dell’obesità. Si tratta di un’occasione per aumentare la consapevolezza su questa condizione e sensibilizzare a corrette pratiche di vita. In occasione della giornata dell’obesità, l’Organizzazione mondiale della sanità ha presentato cinque elementi che caratterizzano il quadro di diffusione della patologia in Europa: un bambino su tre è obeso o in sovrappeso; le condizioni di sovrappeso sono più evidenti nei maschi (il 31 per cento, contro il 28 per cento delle femmine); il 25 per cento tra bambini e ragazzi non fa colazione; meno della metà (43 per cento) dei bambini consuma frutta quotidianamente; pochissimi Paesi mostrano una diminuzione del numero di persone sovrappeso o obese. Al di là di questi spunti di riflessione, che appaiono critici, c’è comunque una tendenza che evidenzia un aumento costante di persone in sovrappeso, non solo nella prima fascia anagrafica (quella dei bambini e degli adolescenti), ma anche tra gli adulti. Rispetto a tante altre condizioni patologiche (croniche o degenerative), l’obesità è diffusa a tutti i livelli d’età. Tralasciando questioni come quella legata al ceto sociale o all’istruzione (una persona istruita o in buone condizioni economiche sarebbe portata a mangiare meglio e ad avere uno stile di vita più sostenibile), la piaga dell’obesità sembra destinata a non rallentare, complici la vita stressante, la mancanza di organizzazione temporale dei pasti, i problemi psicologici e, problema più recente, lo sdoganamento dell’obesità come stile di vita alternativo. Per decenni il paradigma fisico di riferimento è stato il corpo palestrato per i maschi e quello longilineo – o comunque minimamente atletico – per le femmine. Per carità, anche questa tendenza ha fatto i suoi danni e ha fomentato complessi psicologici in tantissime persone. Ma sembra che adesso anche l’obesità possa annoverarsi tra gli stili di vita da emulare, e questo è reso possibile dalla sovrabbondanza di personaggi che sui social network presentano la loro condizione di obesi come fosse un vanto, sfoggiando abbigliamento che esalta i rotoli di adipe e spesso cimentandosi in grotteschi balletti.

“Grasso è bello” potrebbe essere la sintesi di questo drammatico scenario. C’è poi, da parte di molti di questi soggetti, la tendenza paranoica alla deresponsabilizzazione: ostentano con preoccupante naturalezza la condizione limite in cui si trovano, e tra un’abbuffata e un balletto a bordo piscina iniziano la loro crociata contro la “società cattiva”, che sarebbe responsabile della loro condizione. Da una parte, quindi, traslano ogni responsabilità sugli altri, e questo li rende incapaci di fare autoanalisi (che farebbe ammettere loro che sono grassi perché mangiano, non perché abbiamo chissà quale conflitto con il mondo), e questo colpevolizzare il prossimo non fa che aumentare la ricerca del cattivo di turno; dall’altra, la tendenza a riconoscere del bene e del bello nella loro condizione, senza riflettere sulle implicazioni che il sistema (quello sociale, ma soprattutto quello sanitario) si troverebbe a dover gestire nel caso la loro condizione di salute peggiorasse (basta guardare qualche episodio di Vite al limite, dove per spostare una persona di 300 chili intere equipe di infermieri sono impegnate per ore). Questo non significa che la sanità non si debba occupare di loro (sarebbe un pensiero immorale e sadico), piuttosto si dovrebbe ammettere che c’è un problema diffuso, che i social si stanno riempiendo di obesi che fanno proselitismo con il messaggio che “bisogna accettarsi”, che l’obesità è una malattia che apre a gravi comorbilità, e che sdoganare questo stile di vita significa normalizzare il patologico. La mancanza di controlli sui contenuti social fa in modo che il mostruoso diventi normale, e questo fenomeno si può osservare nella diffusione morbosa – oltre che dell’obesità – di malati mentali, nani, altri improbabili freaks, che hanno trasformato i social in cataloghi per fenomeni da baraccone. Su questo si dovrà intervenire prima che sia troppo tardi, prima che tanti fragili adolescenti finiscano per essere sedotti dal semplicismo della bruttezza, prima che l’anormale diventi la norma.

Aggiornato il 04 marzo 2025 alle ore 11:35