
Nonostante tutto, in rete o sulle pagine di qualche testata giornalistica, ancora si legge di quella truffa chiamata Festival di Sanremo: che altro non è che la fiera dei manager la cui competizione ha come colonna sonora quella offerta dal palco del Teatro Ariston o (almeno fino a quest’anno) dalla prima rete Rai.
Adesso però basta. Ci hanno fatto sapere di tutto, anche che in un caso il camerino si sia trasformato in una alcova temporanea. Poi ci hanno fatto sapere anche di troppo e cioè che Elodie si è dichiarata stupefatta del fatto che sul podio dei vincitori non fosse salita una rappresentante donna dell’universo canterino. A quel che ci risulta la cantante si è posta il dubbio ma non ha fornito alcuna ipotesi di soluzione, facendo finta di non sapere che ciò che vince in terra ligure è la forza manageriale e non la mera canzone; che il cantante conta quasi come il due a briscola e se ha qualche difficoltà nell’esibizione c’è sempre il cosiddetto autotune; che il Carosello di quando eravamo piccoli ha dato lo spunto (pubblicitariamente parlando) a quella che dovrebbe essere una manifestazione canora dove dovrebbe vincere il migliore, il più bravo e non il meglio sponsorizzato.
Elodie Di Patrizi l’ha buttata lì sul femminismo d’accatto, cioè quello che vuole le donne non vere protagoniste ma attrici di un copione scritto da altri: nominate solo perché sono donne non perché meritano. Potrebbe anche darsi il caso che le canzoni presentate da donne non fossero granché e per questo non siano state premiate. E invece, se le cantanti sono rappresentate da manager scarsi ne scaturisce che per loro non ci sia posto sul podio: come del resto accade per i maschietti.
Aggiornato il 20 febbraio 2025 alle ore 17:46