I testimoni della verità dell’informazione sono sempre più a rischio. Solo la categoria della sanità si avvicina alle pericolosità che incontrano gli operatori dei media. I rapporti sfornati dalle agenzie specializzate per il 2024 evidenziano una situazione drammatica. Per Report senza frontiere risultano in carcere 528 giornalisti e altri 25 operatori delle comunicazioni. Il quadro è preoccupante. In Iran, dove si trova nel carcere di Evin Cecilia Sala, la giornalista di Chora Media (diretta da Mario Calabresi) e del Foglio, 20 cronisti uomini e 5 donne sono ancora in regime di detenzione mentre altri 9 hanno riacquistato la libertà nel corso dell’anno. Dai dati di Rsf la libertà di stampa e di comunicazione subisce ampie restrizioni in tutto il mondo. Corrono il rischio di essere processati per la loro attività 38 reporter in Siria, 26 in Arabia Saudita, 9 in Iraq, 23 in Egitto, 14 in Eritrea, 12 in Turchia, 5 nello Yemen.
Una escalation contro i giornalisti stranieri non graditi al regime di Xi Jinping si registra in Cina dove risultato 115 casi di blocco dell’attività informativa attraverso il fermo di polizia e il ricorso agli arresti preventivi. Significative le vicende dei giornalisti in Myanmar dove il regime ha deciso una stretta normativa che impedisce a 70 cronisti di comunicare con l’esterno delle carceri dove sono rinchiusi. Altrettanto avviene in Bielorussia e a Mosca dove rispettivamente 52 e 47 reporter sono finiti in carcere senza accuse specifiche. A due cifre (sopra le 20 unità) è la situazione dei reporter finiti in carcere nelle repubbliche dell’Asia, con particolare in Afghanistan, Azerbaigian, Kirghizistan. Drammatiche le condizioni dei cronisti in Vietnam (39 arrestati) e Israele (46 imprigionati).
Non era mai, però, accaduto, neppure nei due conflitti mondiali, un così alto numero di giornalisti morti, feriti o imprigionati come nei 14 mesi del conflitto israelo-palestinese. L’epicentro è naturalmente la Striscia di Gaza. Da quando è iniziata la guerra secondo il direttore del Programma Gpj con sede a New York Carlos Martinez, “i giornalisti hanno pagato un prezzo molto alto per trasmettere o raccontare quanto stava accadendo a Gaza, inoltrandosi in territori proibiti dalle autorità militari, senza protezione, equipaggiamento adeguato, cibi e acqua, con l’unico obiettivo di svolgere il loro lavoro cruciale per dire al mondo la verità”. Dal 7 ottobre 2023, giorno della strage operata da Hamas nei kibbuz del sud di Israele, è ancora vietato l’ingresso alla stampa internazionale, costretta ad affidarsi a qualche free lance, blogger, fixer, semplici cittadini in grado di utilizzare gli smartphone. Si deve a loro se l’opinione pubblica ha potuto vedere l’inferno delle distruzioni, delle bombe sganciate dai jet israeliani, dai colpi sparati dai Maerkava con la stella di David o i missili sparati dai palestinesi ricevuti dagli alleati islamici siriani, iracheni, degli emirati e i droni lanciati dalla Jihad islamica.
Il bilancio secondo il Comitato per la difesa dei giornalisti è di almeno 141 cronisti morti nella Striscia di Gaza ma le indagini proseguono su altri 130 casi. Una catastrofe nella catastrofe dei civili che secondo il Ministero della Salute di Gaza viene indicata in 45.400 morti, di cui 15mila circa bambini. E dopo Israele anche l’Autorità palestinese, presieduta da Abu Mazen, ha vietato le operazioni giornalistiche della tivù Al Jazeera nelle aree sotto il suo controllo in prevalenza nella Cisgiordania, accusando l’emittente di “incitamento alla sedizione e interferenza negli affari palestinesi”. Ma si tratta di un dissidio interno tra “amici” di Hamas e Al Fatah.
(*) Nella foto è ritratta l’inviata della Rai Stefania Battistini.
Aggiornato il 07 gennaio 2025 alle ore 10:01