La Befana: tra storia e tradizione

E così, dopo Natale e Capodanno, è arrivata la Befana, cioè la festa della Befana, che poi sarebbe l’Epifania, cioè la manifestazione, in questo caso di Gesù bambino ai Re Magi, e per mezzo di loro al mondo intero. Ma dal verbo greco epifàino deriva anche epifanès, che significa “in vista”, “evidente”, da cui persona “illustre”, famosa. Questo cambiamento fu dovuto al fatto che gli uomini sono portati a storpiare i nomi, anche perché molti usano il dialetto, perciò epifania divenne, progressivamente, pifania, bifania, befania e finalmente Befana. Ma vi sono luoghi in Italia in cui è rimasto, nel linguaggio popolare, il termine Pefana, con la p, come in Garfagnana, nella Versilia, nella provincia di Massa-Carrara. Il cambiamento si può spiegare così. Nell’antica Roma i cicli delle stagioni erano legati all’agricoltura e i Romani credevano che delle figure femminili volassero sui campi coltivati per propiziare la fertilità dei raccolti. Alcuni vi vedevano Diana, dea della caccia ma anche della vegetazione, altri Sàtia, dea della sazietà, o Abundia, dea dell’abbondanza.

Dunque, se non come parola, la Befana sarebbe nata nell’antica Roma, con altri nomi, come una figura volante, in una festa che si svolgeva in inverno, in onore di Giano e Strenia (da cui deriva la parola strenna), e in cui la gente era solita scambiarsi dei regali. Poi, però, con l’avvento del Cristianesimo la Chiesa cattolica, fin dal IV secolo dopo Cristo, condannò tutti i riti pagani, considerati opera diabolica, e fra di essi, nel basso medioevo, anche la Befana, che venne associata ad una strega, e la scopa, che inizialmente era simbolo di purificazione, divenne uno strumento di stregoneria, vecchia, e per giunta brutta e gobba, col naso adunco e il mento aguzzo, vestita di stracci e coperta di fuliggine perché entrava nelle case attraverso la cappa del camino.

Quanto all’aspetto da vecchia sarebbe una raffigurazione simbolica dell’anno vecchio, che una volta concluso viene bruciato nella veste di fantocci fra cui anche la Befana. Una leggenda racconta che i Re Magi, non riuscendo a trovare la strada per Betlemme, chiesero informazioni ad una vecchia signora, pregandola di accompagnarli. Ma lei si rifiutò. Poi, però, pentitasi, dopo aver preparato un cesto di dolci, uscì per andare a cercarli e durante il cammino si fermò di casa in casa chiedendo notizie e donando quei dolci ai bambini che incontrava. Quanto alle calze e alle scarpe, che si usa mettere anche fuori dall'uscio di casa, sarebbero servite alla vecchietta come ricambio per il suo lungo camminare. Per questo, come recita una filastrocca, “la Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte”. Cominciò a circolare, come parola, oralmente e per iscritto.

Era già diffusa nel dialetto popolare del XIV secolo, specialmente in Toscana e nel Lazio settentrionale, e fui usata per la prima volta in italiano nel Cinquecento da Francesco Berni, poi da Agnolo Firenzuola. Nel Settecento Domenico Maria Manni, un letterato fiorentino, scrisse una Istoria delle Befane. Secondo una leggenda durante la notte dell’Epifania gli animali parlerebbero: “Nella stalla parla l’asino, il bove e la cavalla… parla il chiù con la civetta”. Si riportano addirittura dei dialoghi fra gli animali, come questo fra due buoi:

Te l’ha data ricca la cena il tuo padrone?

No, non me l’ha data

Tiragli una cornata!

Per questo i contadini trattavano bene gli animali dando loro da mangiare in abbondanza, per evitare che parlassero male dei padroni. In conclusione la Befana rappresenterebbe madre natura che giunta alla fine dell’anno, invecchiata e rinsecchita, diventa una befana, una comare secca, da segare o da bruciare. E i suoi regali rappresenterebbero i “semi” grazie ai quali a primavera la Natura risorgerà come una giovinetta. Il carbone, con cui viene bruciata, rappresenta l’energia della terra, che, addormentatasi durante l’inverno, tornerà a farsi sentire. È sotto questo aspetto che la Chiesa ha riabilitato e rivalutato la Befana, considerandola come una sorta di dualismo tra il bene e il male. E oggi lei si gode la benedizione di tutti, specialmente dei bambini, che sono il simbolo dell’innocenza. Molti poeti l’hanno celebrata e fra essi Giovanni Pascoli, di cui voglio ricordarle alcuni versi:

Viene viene la Befana,

vien dai monti a notte fonda.

Come è stanca! La circonda

neve, gelo e tramontana.

Viene viene la Befana.

Ha le mani al petto in croce,

e la neve è il suo mantello

ed il gelo il suo pannello

ed è il vento la sua voce.

Ha le mani al petto in croce…

È una poesia apparentemente semplice ma in realtà contiene una meditazione profonda sulla vita umana. Pascoli, attraverso la figura tradizionale della Befana, parla delle diverse condizioni sociali, dei ricchi e dei poveri, che nobilita perché sono sostenuti dalla fede e dalla speranza.

La Befana vien di notte

con le scarpe tutte rotte,

con le toppe alla sottana.

Viva, viva la Befana!”

E pure noi diciamo: Viva la Befana! Anche se, come dice un proverbio popolare, l’Epifania tutte le feste le porta via. Ma il proverbio continua dicendo: “poi arriva San Benedetto, che ne riporta un bel sacchetto”, perché il 25 marzo cade la festa della Annunciazione, che preannuncia un nuovo ciclo di festività, fra cui la Santa Pasqua.

Aggiornato il 09 gennaio 2025 alle ore 10:47