Il futuro industriale della tivù dopo la fusione delle torri

Il matrimonio televisivo più prestigioso del settore si farà dopo una decina di anni di contatti più o meno riservati. La fusione tra Rai Way ed Ei Towers, le due società delle torri per la trasmissione del segnale televisivo, ha fatto un passo avanti. Il memorandum sottoscritto da Viale Mazzini, Mfe - MediaForEurope (Mediaset fino al 2021), guidata da Pier Silvio Berlusconi da sempre favorevole alle nozze, prevede un periodo di esclusiva fino al 30 settembre 2025, con un’operazione che coinvolgerà 5mila torri tivù. L’aggregazione è resa possibile dalla modifica del decreto del 2022 emanato dall’allora presidente del Consiglio Mario Draghi che consentiva al gruppo pubblico di scendere sotto il 51 per cento dell’azionariato pari al 65 per cento della società delle torri televisive. La Rai potrà, quindi, scendere fino al 30 per cento come soglia minima, che permetterà il riassetto del settore broadcasting in Italia. In cantiere, 550 milioni di ricavi e un margine di 350 milioni qualora nascerà un solo gruppo di trasmissione, con l’obbligo per la nuova società di rimanere quotata in Borsa, dove già è presente Rai Way che capitalizza 1,6 miliardi di euro.

C’è un aspetto industriale rilevante dietro l’operazione: il futuro del digitale terrestre. Il tempo stringe. Secondo lo sviluppo delle tecnologie di ultima generazione il digitale terrestre dovrebbe essere rottamato tra il 2031 e il 2032. Avrà ancora un tempo di vita limitato e gli esperti si chiedono cosa potrà fare la società delle torri televisive che nascerà nel 2025, sapendo già che gli investimenti serviranno per nuove strutture di trasmissione. Gli analisti, a partire dal 2020, hanno sottoposto l’operazione fusione a test sui conti e sul perimetro di estensione dei territori coperti. Saranno ancora essenziali le torri per la trasmissione del segnale o saranno superate dalla copertura dei satelliti? L’operazione nel frattempo resta soggetta allo svolgimento delle attività delle due diligence, alla sottoscrizione di accordi vincolanti e all’ottenimento delle necessarie autorizzazioni regolamentari. L’attivazione della televisione digitale terrestre in Italia è avvenuta a tappe successive nell’arco di quasi 25 anni, a seguito del processo di attuazione delle raccomandazioni della Commissione di Bruxelles che sollecitava i 27 Stati europei ad abbandonare il sistema della televisione analogica entro il 2012.

Il riordino del sistema televisivo in Italia è avvenuto con la Legge Gasparri del 2004 (Governo di Silvio Berlusconi), ma l’introduzione della tecnologia digitale in via sperimentale a Torino risale al primo Governo di Romano Prodi. Il passaggio definitivo al digitale terrestre su tutto il territorio nazionale si verificò nel 2012. In un primo momento le criticità derivarono dalla necessità di acquistare i nuovi apparecchi idonei alla ricezione oppure utilizzare un decoder da collegare con il televisore. L’altro aspetto è stato l’aggiornamento degli impianti delle antenne. Gli esperti consigliavano di istallarne uno “centralizzato” per evitare la miriade di strumenti o parabole sui tetti o terrazze delle abitazioni e quindi l’inquinamento atmosferico. Attualmente i principali standard usati per la trasmissione della televisione digitale terrestre sono:

1) Dvb-T: il più diffuso nell’Unione europea;

2) Atsc utilizzato nell’America settentrionale e quindi Stati Uniti, Canada, Messico;

3) Isdb-T che copre il Giappone, il Brasile, Argentina e gli altri paesi del Sud America);

4) Dtmb: il sistema che utilizza la Cina.

Il cambiamento in Italia del nuovo sistema Dvb-T2 Hevc è avvenuto il 28 agosto 2024 con la numerazione dei canali disponibili. L’interrogativo è: quale sarà il futuro industriale della televisione? Quali saranno le direttive della nuova Commissione europea?

Aggiornato il 02 gennaio 2025 alle ore 11:24