Lo scorso lunedì 30 dicembre, a Bazzano, si sono tenuti i funerali di Cesare Ragazzi. I suoi amici di Modena ricordano la sua vita fantasiosa e geniale. “Quando si sedeva a cena, ovunque fosse, non guardava mai che ci fosse nel piatto: con gli occhi cercava un televisore sperando che si parlasse di lui”. Un amico di vecchia data racconta Cesare Ragazzi, indomito giovanotto di ottantatré anni, costretto alla resa solo da un tumore fulminante. Ma lui non era un piacione, o meglio, il suo protagonismo non era fine a sé stesso, faceva parte della strategia pubblicitaria che lo aveva reso un personaggio amato da tutti. “Salve, sono Cesare Ragazzi!”, era un tormentone che continuerà anche dopo la sua scomparsa. “Un’idea meravigliosa” di un pubblicitario che provocò, nella mente di Cesare, il sorpasso della voglia di essere personaggio rispetto a quella di fondare un impero. Di fatto, riuscì in tutti e due gli intenti: si autodefiniva l’imperatore del pelo: difendeva il suo brevetto da chi lo liquidava con il termine “parrucchino”: “Si chiamano capelli naturali a contatto”, e lui li comprava in Turchia, in India, dovunque. Ne arrivavano interi camion, tir, bastimenti. Un capello vero, impiantato su una pelle sottilissima, ma non trapiantato nel cuoio capelluto: “Sarebbe come passare da pelato a diradato”, diceva, “e si andrebbe di male in peggio”.
Era un vero psicologo. Non avrebbe mai accettato di mettere i capelli a nessuno prima di conoscerne vita, carattere e motivazioni: per questo sottoponeva i “pazienti” a lunghi interrogatori sulla loro calvizie e sulle ragioni per cui volevano porvi fine. Ai clienti cercava di evitare gli effetti collaterali di un cambiamento psicologicamente delicato. Rifiutò, ad esempio, di trattare con urgenza il problema di un timidone, il quale aveva trovato un lavoro dopo anni di disoccupazione, ma non voleva assolutamente prendere servizio tre giorni dopo senza capelli. Gli spiegò che tutto andava fatto con i tempi giusti, lo convinse a procedere per gradi e a non sembrare un miracolato a chi lo conosceva da tempo. E non era l’unico caso. Cesare-confessore aveva risolto di tutto, dal look di personaggi famosissimi come Lucio Dalla, i cui capelli faceva capire, senza mai dirlo, che erano suoi, fino a improvvisati interventi di tricologia pubica per almeno tre vamp, i cui amanti non apprezzavano alcun tipo di diradamento. Nel “confessionale” del suo centro di Bologna c’era spesso anche un pubblicitario, travestito con un camice, bianco, goffamente intento a studiare chissà che, in realtà interessato alle migliaia di ansie tricologiche, quasi tutte diverse: annotava, poi costruiva campagne su misura. All’apice del successo, nel momento in cui era incontrastato dominatore del mercato, fu un giornalista a sfornare la pubblicità più sfacciata: “Prima di venire da noi, passate dalla concorrenza”.
Centri Cesare Ragazzi in tutta Italia, poi in Europa, infine, punti di riferimento ovunque, che raccoglievano clienti disposti a venire in Italia con il sogno di nascondere per sempre il cuoio capelluto. A modo suo, era un talent scout. Suonava la chitarra, amava la musica e se vedeva un ragazzo al pianoforte intento a canticchiare con garbo e simpatia lo ascoltava, infine gli diceva: “Sei bravo, ma ora lascia stare le canzonette, vieni a lavorare con me”. Poi lo presentava a tutti vantandosi di aver trovato un brév cinàz, in bolognese un bravo ragazzino. Era molto generoso, e metteva in primo piano la simpatia. Ascoltava tutte le persone e tutti gli argomenti, ma aveva una capacità diabolica nel trasformare qualsiasi conversazione in una discussione sul pelo, come lui chiamava i capelli. E quando allevava alla sua corte promettenti cinàz, erano loro a costruire situazioni che sembrerebbero incredibili anche in un film comico. Cuba, anni Ottanta. In un ristorante a L’Avana, un suo giovane collaboratore si ferma davanti al tavolo di una coppia, lui pelato, lei bruttina. Con una faccia tosta incredibile il ragazzo fa capire al maschio che con i capelli potrebbe aspirare a ben altra partner. Lo dice bene, al punto che lei lo schiaffeggia e lui accetta l’invito a seguirlo: “Un attimo”.
Escono, il suo capo è appoggiato con una mano al muro dell’edificio e con l’altra gli fa il saluto: “Salve, sono Cesare Ragazzi”. Inutile aggiungere che l’uomo è diventato suo cliente e seguace. Quanto alla signora, nessuno ha approfondito. Ma questa storia è assolutamente vera. Amava le canzoni di Franco Califano e forse, senza saperlo, ne seguiva un’abitudine: il cantautore romano raccontava di addormentarsi, ogni sera, cinque minuti dopo. Voleva regalarsi quei trecento secondi per pensare, ricordare. Progettare, proprio come faceva Cesare, pronto, il giorno dopo, a realizzare le idee che gli balenavano prima di dormire. Ora solo la natura è riuscita a metterlo a tacere, scatenandogli contro un male che non aveva orecchie, se no lui l’avrebbe convinto ad andarsene, perché c’erano ancora troppe cose da fare, tanti progetti, tante idee: “Perché il pelo cambia negli anni, nei secoli, e noi dobbiamo sempre essere aggiornati”. Tre figli in gamba, fra questi, Simona, un’artista geniale. Nelle sue sculture c’è estro, c’è innovazione. Le stesse doti con cui papà Cesare contagiava il sorriso a un mondo troppo spesso ingrugnito.
Aggiornato il 02 gennaio 2025 alle ore 10:19