Milano proibizionista

Punire invece di educare: il controverso divieto del capoluogo lombardo alimenta il dibattito tra progresso e paternalismo statale.

Il Comune di Milano ha annunciato una misura drastica e senza precedenti: il divieto totale di fumare all’aperto su tutto il territorio cittadino, a partire dal 1° gennaio 2025. La decisione, presentata come una svolta progressista, appare motivata dall’obiettivo di migliorare la qualità dell’aria e proteggere la salute pubblica, per rendere la città più vivibile e sostenibile.

Nonostante ciò, solleva numerosi dubbi e interrogativi profondi sia su compiti e funzioni di una municipalità come quella milanese sia, soprattutto, sul rispetto della libertà individuale e sul ruolo dello Stato e delle amministrazioni pubbliche nel regolamentare abitudini personali.

Quanto al primo aspetto, è indiscutibile che l’ente dovrebbe piuttosto concentrarsi sui suoi compiti essenziali: garantire servizi efficienti, infrastrutture funzionali e sicurezza, affrontando e risolvendo positivamente le sfide che lo riguardano, in particolare quelle legate alla mobilità, alla gestione dei rifiuti e all’inquinamento industriale. È fondamentale che l’attenzione sia rivolta a soluzioni strutturali e concrete, evitando di limitarsi a provvedimenti simbolici che colpiscono gli individui e rischiano di trasformare il Comune in un micro Stato etico, legittimando l’arbitrio pubblico contro i diritti individuali.

In ordine, poi, all’altro profilo e al merito dell’iniziativa, è il caso di sottolineare che un principio cardine di una società aperta e libera è che gli uomini sono responsabili, cioè che essi subiscono le conseguenze delle loro azioni. Ciò implica, in particolare, che devono rispettare i diritti degli altri e risarcire coloro a cui arrecano danno. Il che equivale a sostenere che le scelte personali, quando non arrecano danni diretti ai terzi, devono essere tutelate, e non represse mediante trovate autoritarie mascherate da progresso, come quella del sindaco Sala. Questa mina infatti la responsabilità personale, promuovendo un paternalismo politico che soffoca la libertà e trasforma i cittadini in sudditi incapaci di prendere decisioni autonome, con un divieto che si estende indiscriminatamente a tutte le aree aperte della città. Tanto pur risultando riscontrato che, negli spazi esterni, l’effetto del fumo sugli altri è del tutto trascurabile. Senza contare inoltre che i costi della misura repressiva, che richiede controlli e procedure sanzionatorie, non verranno sopportati solamente dai fumatori, ma graveranno sull’intera collettività.

Né può passare inosservato che politiche simili sono già fallite in passato. Ad esempio, durante il Proibizionismo degli anni Venti negli Stati Uniti, il divieto di alcol non fece che incentivare un mercato nero florido e aumentare la criminalità. Allo stesso modo, le politiche restrittive sul tabacco nel Terzo Reich, motivate da finalità ideologiche oltre che sanitarie, non ridussero significativamente il consumo. Anzi, dimostrarono come i divieti totali possano alimentare resistenze e comportamenti alternativi più pericolosi. In pratica, ogni volta che lo Stato impone regole etiche ed eccessive, si creano inevitabilmente inefficienze e comportamenti distorsivi.

Un altro effetto deleterio che può essere prodotto dal provvedimento milanese investe il rapporto tra cittadini e istituzioni, che rischia di essere danneggiato, come solitamente avviene quando si adottano politiche oppressive. Queste nella maggior parte dei casi alimentano sfiducia e diffidenza, laddove un approccio fondato sulla responsabilità personale e la libertà rafforza la collaborazione e il rispetto reciproco. Cose che diventano persino fonte di sviluppo e prosperità per la società, atteso che in un simile contesto si esalta la capacità degli individui di collaborare e innovare liberamente. Una città come Milano, che ambisce a essere un modello di modernità e progresso, dovrebbe pertanto preferire politiche che valorizzino l’autodeterminazione dei cittadini.

Si aggiunga a tutto quanto già prospettato il rischio di un effetto domino, che appare invece concreto, della determinazione lombarda. Accettare siffatta misura potrebbe aprire la strada a ulteriori restrizioni su altre scelte personali, erodendo progressivamente le libertà individuali. Le limitazioni alla libertà, una volta introdotte, tendono a espandersi, poiché lo Stato e gli apparati politici e burocratici difficilmente rinunciano al controllo che acquisiscono. Essa è altresì una dinamica che può portare a un modello di governance sempre più invasivo, in cui il cittadino è costretto a conformarsi a regole arbitrarie e spesso sproporzionate rispetto ai presunti benefici.

Va da sé che il divieto di Milano, tutto proteso alla repressione coattiva, non contempla affatto soluzioni più efficaci e meno invasive, come ad esempio campagne di sensibilizzazione ed educazione, che possano incentivare scelte virtuose senza coercizioni. Le stesse si sono dimostrate in grado di ridurre significativamente il consumo di tabacco, al pari di programmi educativi strutturati, diffusi in molti Paesi, che hanno ottenuto risultati duraturi senza sacrificare i principi fondamentali di una società liberale.

È vero che la libertà non garantisce l’assenza di errori. Tuttavia, offre la possibilità di apprendere da essi. Vietare il fumo all’aperto in modo così generalizzato, senza considerare il contesto e senza lasciare spazio alla responsabilità individuale, è un approccio miope. E non è neppure compatibile con una visione di progresso autentico e con la modernità, che risiedono nella capacità di educare, non di imporre regole arbitrarie, ed assumono i valori fondamentali dell’autodeterminazione individuale e della scelta libera e responsabile.

In definitiva, una città che desidera essere un esempio di innovazione e progresso dovrebbe optare per politiche che bilancino la tutela della salute pubblica con il rispetto delle libertà fondamentali. Progresso e libertà non sono solo compatibili, ma si rafforzano reciprocamente. Una città come Milano, che ambisce a essere un modello di modernità e progresso, dovrebbe pertanto preferire politiche che valorizzino l’autodeterminazione dei cittadini. Dovrebbe quindi costruire un modello che ispiri, scegliendo di educare e responsabilizzare i suoi cittadini senza ricorrere a imposizioni inutili e dimostrando così che progresso e rispetto per le libertà individuali possono convivere in armonia. Dovrà in pratica percorrere una strada più rispettosa della dignità umana, che non impone regole rigide ma favorire la consapevolezza e il dialogo. Una città innovativa che sia esempio di un contesto che sa bilanciare progresso e libertà.

Aggiornato il 20 dicembre 2024 alle ore 11:43