Un clima di incertezza

Di fronte a una tragedia delle proporzioni di quella di Valencia occorre allontanare da noi il pensiero di esserci ormai inoltrati in una terra incognita in cui i punti di riferimento sono stati spazzati via dal cambiamento climatico. Paradossalmente infatti, prima ancora di adattarsi al clima che cambia, occorrerebbe imparare ad adattarsi al clima del Mediterraneo, il quale presenta una strutturale esposizione a eventi precipitativi estremi, frutto di svariati fattori fra i quali la presenza di un mare sorgente di masse d’aria caldo-umida, la presenza di alcune aree ciclogenetiche, vere e proprie fucine di perturbazioni violente, fra cui spiccano il Golfo di Genova e le Baleari (giusto di fronte a Valencia), la presenza di un’orografia imponente (Alpi, Appennini, le tante Sierre spagnole) e la prossimità di regioni sorgenti di masse d’aria fredda (Atlantico settentrionale, areale siberiano, Artide). Questi fattori sono all’origine dei tanti eventi luttuosi di cui è costellato il nostro passato e che reggono benissimo il confronto con l’alluvione di Valencia, scatenata da un evento pluviometrico con valori di picco di 430 millimetri in poche ore.

Fra questi eventi luttuosi ricordiamo le alluvioni dell’ottobre 1951 di Nicolosi in Sicilia (1.366 millimetri in 4 giorni), di Sicca d’Erba in Sardegna (1.536 millimetri in 5 giorni) e della Calabria (oltre 1.500 millimetri in 3 giorni), l’alluvione di Genova del 1970 (oltre 900 millimetri in un giorno), e poi la Garfagnana (1996), Sarno e Quindici (1998), le due alluvioni del Piemonte (1994 e 2001). Peraltro di fronte a tali eventi occorre sempre domandarsi se si sia fatto tutto il possibile in termini di prevenzione e questo dovrà essere fatto anche a Valencia, una volta che la fase più critica dell’emergenza sarà stata superata. In tempi funestati dalle alluvioni un importante elemento di speranza è dato dal dataset globale sulle catastrofi gestito dal Centro Cred dell’Università Cattolica di Lovanio, dal quale emerge che la mortalità media annua per catastrofi meteo-idro-climatiche (siccità, temperature estreme, tempeste, incendi boschivi, frane e alluvioni) è passata dai 485mila morti annui del decennio 1920-29 ai 18mila morti annui del periodo 2010-2022. In sostanza, i morti annui per catastrofi meteo-idro-climatiche sono oggi 27 volte meno di quelli di cent’anni fa, e ciò nonostante la popolazione mondiale sia nel frattempo quadruplicata, passando da 2 a 8 miliardi di individui.

I dati Cred dimostrano che l’umanità ha un’enorme capacità di apprendere dai propri errori e ci attendiamo che questa capacità possa trovare espressione anche nell’edizione n° 29 della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop29), che aprirà i battenti lunedì 11 novembre 2024 a Baku in Azerbaigian. Dalla Cop29 ci attendiamo la capacità di proporre un mix credibile di fonti energetiche per supportare la crescita economica dei prossimi anni e una valorizzazione del ruolo dell’agricoltura, unico settore di importanza socio-economica che in virtù della fotosintesi assorbe enormi quantitativi di Co2 (ben 54 gigatonnellate l’anno) e che da decenni è costantemente relegata al ruolo di grande inquinatore per le 10 gigatonnellate che annualmente emette.

(*) Istituto Bruno Leoni, Museo di storia dell’agricoltura – sezione di paleoclimatologia

Aggiornato il 05 novembre 2024 alle ore 12:28