Stop al braccio di ferro. Tutti via dopo la lunghissima e aspra vertenza al quotidiano La Repubblica. Eugenio Scalfari, barbapapà, si rivolta nella tomba. La sua creatura degli anni d’oro con il sodale Carlo Caracciolo e i soldi di Carlo De Benedetti non rappresenta più l’ala progressista del giornalismo e della sinistra politica. La direzione del romano Maurizio Molinari e il presidente del gruppo Gedi John Elkann hanno alzato bandiera bianca. La sostituzione è stata decisa a stretto giro di email: da lunedì la direzione viene assunta da Mario Orfeo, che era alla guida del Tg3 ma in vista di uscita per lasciare il posto ad un esponente del Pd o del Movimento 5 stelle.
Al vertice di Gedi sale il fidato di casa Agnelli Maurizio Scanavino che avrà come amministratore delegato Gabriele Comuzzo. Tutta operazione in casa? Si potrebbero valutare così tutti i movimenti degli ultimi mesi ma il terremoto a Repubblica è più profondo e risale ai contrasti tra redazione e proprietà. La goccia che ha fatto esplodere il caso sono state le ingerenze del vertice aziendale nell’informazione soprattutto in occasione dell’iniziativa Italian tech week di Torino, l’evento gestito direttamente dalla casa madre Exor per il quale venivano vendute interviste e articoli di Repubblica alle aziende che partecipavano all’evento mentre i giornalisti erano in sciopero.
Prima scorrettezza: la proprietà aveva mandato ad alcuni redattori del settore economia a privilegiare, nei pezzi sulla manifestazione, alcuni sponsor. Seconda: un file in cui si elencava articoli benevoli che non avrebbero dovuto sembrare pubblicità. Si stanno moltiplicando nell’editoria i casi di pressione del marketing e della pubblicità per occupare spazi, con il rischio di far diminuire la credibilità delle testate. L’inserto di 112 pagine era un esempio macroscopico dell’intrusione della pubblicità nonostante il varo di un preciso decalogo. La colpa del direttore Molinari è stata poi quella di non aver saputo difendere l’autorevolezza della testata come avvenuto nel caso dell’altro inserto Affari e Finanza che venne mandato al macero per cambiare una nota non allineata ai voleri e interessi della proprietà.
Di fronte alla violazione contrattuale (articolo 44) i redattori hanno effettuato il 25 e 26 settembre due astensioni dal lavoro. Veniva violato anche il Testo unico dei doveri del giornalista. Se si mescolano notizie e pubblicità viene meno uno dei cardini del corretto rapporto tra media e lettori. A bomba scoppiata molti ambienti hanno criticato il silenzio delle grandi firme come Ezio Mauro, Corrado Augias, Massimo Giannini, Francesco Merlo, Concita De Gregorio. E il presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio Guido D’Ubaldo ha invitato a riflettere sul problema, che lo sciopero dei redattori di Repubblica ha scoperchiato.
L’atto finale è il ricorso a Mario Orfeo, un giornalista napoletano, che è stato caporedattore ai tempi di Ezio Mauro, poi direttore del Messaggero, direttore generale della Rai ai tempi del governo di Matteo Renzi e in ultimo del Tg3, in cui ora si apre la successione che verrà decisa dal nuovo vertice dell’azienda di viale Mazzini, proprio nei giorni dei festeggiamenti dei 100 anni di vita. A Largo Angelo Fochetti arriva il quarto direttore in 8 anni. E se le nuove nomine non sono una rivoluzione il clima resta teso. Come anche sta avvenendo alla Stampa, sempre della Gedi, in cui nessuno si candita per il comitato di redazione. Sono molti coloro che si tirano indietro, non solo perché il ruolo dei rappresentanti sindacali è sempre più difficoltoso, ma anche perché la proprietà appare inaffidabile.
Aggiornato il 04 ottobre 2024 alle ore 13:24