Le “reggenze” che non reggono: un nuovo sistema di reclutamento dei dirigenti scolastici

Il nuovo anno scolastico si è aperto con circa mille scuole (fonte Orizzonte scuola) affidate a “reggenti”, dirigenti scolastici titolari presso altre istituzioni scolastiche, e non a un preside di ruolo. Per inciso, all’incaricato viene corrisposta un’indennità fissa di circa 9.600 euro per ogni reggenza, unitamente a un’integrazione di risultato che è in media tra i 6mila e i 10mila euro annui. Fino al 2005 la normativa prevedeva la possibilità di coprire annualmente le sedi vacanti con i cosiddetti “presidi incaricati”, docenti che avevano particolari requisiti e che annualmente davano la propria disponibilità ad assumere tale ruolo secondo una graduatoria di merito. Poi tutto è cambiato (in peggio). Questa figura è stata abolita ed è arrivata quella della “reggenza” dei dirigenti scolastici di ruolo, i quali sono peraltro una categoria sottodimensionata. La mancanza di presidi di ruolo ha varie cause, una su tutte: la criticità del sistema di reclutamento tramite pubblico concorso.

Infatti, puntualmente si verifica che appena se ne conclude uno, sia esso riservato o ordinario, paradossalmente esso rimane aperto perché immediatamente viene attaccato da ricorsi al Tar o al Consiglio di Stato con conseguente possibilità di annullamento o ridefinizione degli elenchi di ammessi, idonei e vincitori. Poi capita che i “reggenti” siano di scuole di diverso ordine e grado, così magari un preside di un liceo classico si ritrova a gestire un istituto tecnico industriale o una scuola elementare, anche fuori provincia, visto che la titolarità della dirigenza è regionale. Tutto questo è un’incongruenza proprio sul piano della fattività, perché il preside, costretto a fare la spola tra due istituzioni scolastiche lontane fisicamente, per forza di cose trascurerà qualche aspetto, trovandosi a gestire strutture diverse con problematiche specifiche che meriterebbero un’attenzione particolare che lui non può, per ovvie ragioni di spazio e tempo, garantire.

E lo stesso “bi-preside” avrà a che fare con due corpi docenti con richieste ed esigenze in tanti casi molto diverse tra loro. Per non parlare del rapporto con i genitori degli alunni e con gli alunni stessi, che sono il cuore della scuola, con i quali il dialogo dovrebbe essere continuativo e costante. Allora potrebbe essere un netto miglioramento per il sistema di istruzione passare alla “triennalità” della presidenza, attingendo per il ruolo non a concorsi ma a una graduatoria di merito, elaborata sulla base delle disponibilità di quei docenti che abbiano già maturato alcuni anni di servizio, almeno 10 di ruolo come per gli attuali presidenti di commissioni agli esami di Stato, che sarebbero disponibili di potere mettere a frutto la loro esperienza come dirigenti incaricati.

Se poi li sottoponessimo a valutazione vincolante per il rinnovo, li incentiveremmo a fare sempre meglio e si innescherebbe così anche una certa mobilità di carriera tra i docenti, il che non guasterebbe. Ci rifletta signor ministro Giuseppe Valditara: si eviterebbero inutili dispendi di denaro pubblico in farraginosi meccanismi concorsuali e in ricorsi a questo o a quel tribunale amministrativo, continue perdite di tempo e si garantirebbe a tante scuole una utile continuità e alle famiglie un punto di riferimento stabile nel tempo. Si chiuda con le “reggenze” che non reggono e si passi a un nuovo sistema, tenendo presente che l’interesse personale a migliorare la propria condizione è il miglior propellente per fare il bene di una comunità.

Aggiornato il 01 ottobre 2024 alle ore 09:33