Buon lavoro. Il nuovo vertice dell’azienda di viale Mazzini, votato dal Parlamento, ha ricevuto “gli auguri e le congratulazioni” da parte della Federazione nazionale della stampa (presidente Vittorio di Trapani ex Rai) e dell’Usigrai (il potente sindacato dei giornalisti di sinistra che vanta circa 1.600 iscritti guidato da Daniele Macheda). Dopo una giornata di sciopero e considerata la nomina di tre giornalisti di grande esperienza (Antonio Marano, Roberto Natale, Federica Frangi), del rappresentante dei lavoratori (Davide Di Pietro che ha raccolto circa 2.600 preferenze) e di quattro manager delle comunicazioni (Simona Agnes, Gianpaolo Rossi, Roberto Sergio, Alessandro Di Majo) si è chiusa una prima fase nel gruppo televisivo.
La seconda riguarderà la nomina del presidente Rai che dovrà ottenere il voto favorevole dei due terzi della Commissione parlamentare di vigilanza composta di 42 membri tra Camera e Senato. Per ora la maggioranza di centrodestra non ha i numeri sufficienti e quindi si avvia una più o meno lunga trattativa. In politichese, dietro l’espressione “presidente di garanzia” si nascondono manovre e conquista di una posizione di rilievo più simbolica che di effettivo ruolo gestionale. Alcune presidenze però come quella di Letizia Moratti, di Roberto Zaccaria, Lucia Annunziata e Mariella Soldi hanno inciso anche sugli orientamenti da portare avanti.
In pole position c’è Simona Agnes, laureata in Giurisprudenza alla Luiss Guido Carli, presidente della Fondazione Biagio Agnes – il padre mega-direttore per molti anni – animatrice del Premio, presidente del Conservatorio Santa Cecilia e consigliera Rai dal 2021. Indipendentemente dalla sponsorizzazione dei giornalisti Antonio Tajani e Maurizio Gasparri a nome di Forza Italia, il curriculum è di tutto rispetto. Manca ancora l’accordo politico che si gioca su altri tavoli. Il nuovo Cda è chiamato a breve ad affrontare nuove sfide, partendo dalla chiusura nel 2022 di bilanci che confermano il gruppo Rai al primo posto nel mercato televisivo con il 36,5 per cento di share nell’intera giornata, la leadership di Rai 1 nelle 24 ore e la crescita del digital.
Dopo gli auguri i sindacati ribadiscono che “resta prioritaria la riforma della legge di nomina con norme in linea con la direttiva europea del Media freedom act”, orientamento richiesto anche dai partiti di opposizione e accettato dalla maggioranza di centrodestra. Dal confronto con l’azienda sul piano industriale e su quello dell’informazione dovranno scaturire i programmi per i prossimi tre anni: ristrutturazione del palazzo di viale Mazzini a causa dell’eccessiva presenza di amianto, revisione del patrimonio edilizio in periferia e nei quattro centri di produzione, riduzione dei costi esterni a causa delle tante produzione date in appalto e che creano anche problemi alla linea editoriale, nuova organizzazione del lavoro con razionalizzazione delle testate giornalistiche, sperimentazione di nuovi programmi, vendita di quote di Rai Way, richiesta al Parlamento di risorse certe per gli investimenti tecnologici (la Rai è indietro rispetto anche a molte tivù locali sul piano dei mezzi di ripresa).
Mettendo mano alla riforma sarà necessario affrontare il problema del canone, che da alcuni anni è diventato una tassa di possesso e cioè paghi il canone perché possiedi un televisore e così l’azienda di viale Mazzini incassa oltre alla pubblicità circa 1,8 miliardi per ogni esercizio economico. Ad ogni cambio di vertici si scatena poi la corsa a scegliere direttori di testate (troppe), quadri responsabili dei programmi, registi, conduttrici e conduttori che ricevono compensi spesso faraonici.
Aggiornato il 30 settembre 2024 alle ore 10:19