Ne avevamo già parlato, cogliendo lo spunto della querelle nata attorno all’atleta Imane Khelif in occasione delle Olimpiadi di Parigi. Ora la questione viene posta dal Servizio sanitario nazionale scozzese che ha dovuto ammettere di non sapere quanti pazienti transgender abbiano modificato il loro sesso biologico nei registri medici, sottolineando come questo sia un problema. Perché? Perché in caso di bisogno medico questa non conoscenza del sesso biologico potrebbe avere ripercussioni enormi sulle diagnosi, con il rischio di sbagliare le cure.
La denuncia è partita dal gruppo For Women Scotland e mira a mettere in luce i rischi clinici, quindi per la salute, che corrono i pazienti trans.
Il Telegraph ha riportato che il Ssn scozzese ha iniziato a registrare i cambiamenti solo a partire da novembre 2023, nonostante la legge consenta alle persone trans di ottenere un certificato ufficiale che attesti il genere in cui si riconoscono con un’autocertificazione, quindi senza bisogno di una diagnosi psicologica, già dal dicembre 2022.
Ma se un medico non conosce il sesso biologico del paziente, i risultati di test ed esami potrebbero trarlo in inganno perché potrebbero differire a seconda che una persona sia nata con i cromosomi XY o XX. Come si può garantire il diritto alla salute se non si hanno questo tipo di informazioni basilari?
Per garantire la massima sicurezza del paziente bisogna uscire dalla prospettiva ideologica per ritornare ad un principio di realtà. Ognuno ha il diritto di fare ciò che ritiene opportuno per stare bene con se stesso e con gli altri. Nessuno però ha il diritto di spacciare l’ideologia per scienza, soprattutto nessuno dovrebbe poter giocare con la salute delle persone.
Aggiornato il 17 settembre 2024 alle ore 09:30