Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Così esortava Gabriele d’Annunzio i pastori. In questo primo taccuino di settembre, vorrei offrire a chi legge, l’opportunità di migrare dal chiacchiericcio sugli accadimenti quotidiani di cui possiamo leggere un po’ ovunque ad un approfondimento di quello che accade. Voglio sgombrare dal campo uno degli equivoci più ricorrenti, la confusione tra la concezione liberal e liberale della libertà. È tempo quindi di tornare ai fondamentali liberali. L’occasione per riflettere ce l’ha offerta Oliviero Toscani, che in questi ultimi giorni ha rilasciato alcune interviste che consentono di trarre spunto per ragionare sula differenza tra libertà liberale e libertà democratica, quella dei cosiddetti liberal.
Toscani ha parlato della sua malattia, ha raccontato di aver pensato anche di porre eventualmente fine alla propria esistenza, ora che, essendo malato, non considera più la sua vita degna di essere vissuta. “Ho avuto tutto… la malattia è il prezzo da pagare per quel tutto”. Vorrebbe avere la facoltà di morire dignitosamente, per questo ha pensato di telefonare al suo amico Marco Cappato, per fare insieme una gita in Svizzera, perché in Italia non potrebbe fare altrettanto. La “libertà di”, la libertà dei liberal. Quella libertà che prevede che qualcuno ti riconosca la libertà di dire, fare, amare, e te ne dia facoltà d’esercizio.
Ma ogni malato che vorrebbe disporre del proprio fine vita, che non può scegliere come dove e quando morire, non ha bisogno di qualcuno che gli dia questa facoltà, ha bisogno che non gli venga negata questa possibilità. Lo Stato non dovrebbe concedere cosa fare, non dovrebbe porre vincoli, lacci e lacciuoli a questa libera scelta riguardante la vita dei cittadini, sempre meno cittadini e sempre più sudditi. Dovrebbe riconoscere quale diritto inalienabile della persona la libera disposizione del fine vita di ogni individuo, e rimuovere gli eventuali ostacoli alla determinazione dell’esistenza umana.
Vorrei essere padrona della mia vita, non risponderne a qualcuno, come ha dovuto fare Cappato dinanzi ad un giudice, o come ha dovuto chiedere Beppino Englaro per la figlia. Toscani è profondamente convinto che prima o poi, il cambiamento legislativo su questo argomento ci sarà. La libertà quale risultato di un dibattito politico che lo Stato riconosce, fa proprio e poi concede. Mi torna in mente la battaglia radicale di tanti anni fa quando fu introdotto nell’ordinamento il divorzio.
Bisognerebbe indignarsi di fronte alla negazione della libertà di scelta da parte dello Stato. Battersi e se necessario combattere affinché non vengano negati i diritti, invece di auspicare che prima o poi, vengano riconosciuti e concessi dallo Stato. L’idea che siamo portatori di diritti inviolabili ed inalienabili non sembra albergare in tanti. Troppi.
Da liberale, io invece sono per la libertà “da”, ossia l’assenza di coercizione, a partire dal potere pubblico, che dovrebbe limitarsi a disporre cosa non si possa o debba fare (per non violare la libertà altrui). Penso che lo Stato dovrebbe lasciare liberi i cittadini, che sanno scegliere per sé meglio di chiunque altro.La differenza tra liberal e liberale sta nella preposizione che accompagna la parola libertà: in fondo è questione di una vocale. Di o da. Si riconosce facilmente il liberale dal liberal; dipende dalla preposizione che predilige utilizzare.
Questa differenza fra i due concetti di libertà ce l’ha spiegata egregiamente Isaiah Berlin. Nella sua famosa lezione inaugurale del 1958, Due concetti di libertà, si è soffermato sulla distinzione tra la libertà positiva, come capacità di agire e una negativa, intesa come assenza di interferenza e costrizioni. A furia di pretendere le libertà “di”, si è perso il gusto per la libertà “da”. Rimane solo di affidarsi alla benevolenza del legislatore per poter disporre di se stessi, ed evitare che gli amici rischino la galera per averti aiutato a vivere fino in fondo con dignità e consapevolezza.
(*) Leggi il Taccuino liberale #1, #2, #3, #4
Aggiornato il 06 settembre 2024 alle ore 11:30