Strage di Paderno Dugnano: inferno dantesco tra dubbi e domande

Si chiamava Riccardo, ed era un ragazzo che, come me, ascoltava i Beatles e chissà, magari anche Mick Jagger e i Rolling Stones. E sebbene l’imperfetto si addica all’umano − siamo pur sempre legni storti, asseriva Kant; di certo non propriamente marci aggiunge lo scrivente − d’istinto ho convertito il tempo verbale dal presente al passato. Forse perché, se il Chiarioni − per cognome come si indicano i grandi scrittori e i compagni di liceo − è ancora qui con carne e fiato, temo che Riccardo abbia dissipato la sua essenza umana in quella stanza mentre maciullava il suo papà, la sua mamma e il suo fratellino.

A Paderno Dugnano, un comune come tanti, un puntino tra i mille presenti in quella ragnatela urbanizzata che corrisponde alla provincia di Milano, d’un tratto l’inferno dantesco ha preso forma, si è modellato nelle pieghe infinite che contraddistinguono l’animo o quella cosa che comunemente chiamiamo così. Un baratro di dolore così irrazionale che ora la vera difficoltà consiste nel costruire, alla bell’e meglio, una parvenza di domanda, ancor prima che cercare vanamente una risposta. Quella di Riccardo e la sua famiglia è un’atroce aporia calata in questo spicchio di Lombardia. Un coltissimo figlio di questa terra parlava di “provvida sventura”. Di certo la sventura si è abbattuta come un mare in tempesta, ma di provvido si vede davvero ben poco. Si, d’accordo, il dialogo nelle famiglie che latita; si, va bene: i sogni che rimangono in volo sempre di meno; ammettiamo pure che il tutto e subito non è un buon viatico per la meraviglia e la soddisfazione di calpestare traguardi. Tutto giusto, tutto corretto, per carità. Epperò non basta ad abbozzare una pur minima analisi dell’accaduto.

La mente vola, fugge, si rintana in dubbi che di amletico hanno ben poco, tipo il chiedersi quante coltellate sono state inferte e perché proprio quelle e non di più o di meno. Domande così, come in un film di Antognoni di qualche decennio fa. Ma poi: a che serve saperlo? È tutto un discernere esornativo che contribuisce peraltro a banalizzare la vita quando quest’ultima, per essere goduta in pienezza, dovrebbe essere superata dedicandola a qualcosa o a qualcuno che sia un ideale, un’utopia o una persona speciale. Riccardo ascoltava i Beatles. The Long and Winding Road. La Strada Lunga e Serpeggiante. Alcuni passaggi recitano così: “La notte ventosa e selvaggia che la pioggia si portò via. Ha lasciato una pozza di lacrime per il pianto di tutto il giorno. Perché lasciarmi stare qui? Mostrami la via”. Non so chi potrà mostrare la via a Riccardo. Forse Colui che decise il destino di Giuda rendendolo l’Iscariota per i secoli a venire. Riccardo ha ucciso la sua famiglia per provare l’ebbrezza della libertà, ma la libertà si conquista contrastando la figura paterna, non uccidendola; la maturità si acquisisce nel ricordo dell’esempio paterno, non nella cancellazione di opere, parole e omissioni a fin di bene. Riccardo aveva tutto e si sentiva solo, ora è rimasto da solo dopo aver perso tutto. Ha reso definitiva una condizione provvisoria. Un ragazzo così giovane e così fragile − perfetta metafora pascaliana della canna al vento − ha dato avvio ad un’epifania di dolore così profondo, atroce e inconsulto da non potersi spiegare, tanto da apparire quasi una vittima in tutto ciò. Chiarioni è in carcere, Riccardo non so dove sia. Spero che i due si ricongiungano al più breve. Sarebbe il primo passo per un ritorno, seppure marginale, dell’umano. Aiutate questo ragazzo. Non tanto ora ma quando capirà in quale abisso è naufragato.

Aggiornato il 04 settembre 2024 alle ore 14:20