Operatori dei media tra bombe, ostracismo e crescita delle fake news. Negli ultimi 25-30 anni la professione di cronista è diventata un mestiere sempre più pericoloso. Sono ormai più di 1.500 i professionisti dell’informazione che hanno perso la vita o rischiata per raccontare guerre, conflitti sociali, trame della criminalità organizzata, malaffari dei potentati politici ed economici. Preoccupa il crescente numero di minacce, violenze fisiche e morali, cause civili e procedimenti penali per diffamazione senza elementi di certezza, anzi aumentano le querele intimidatorie o temerarie. In realtà, la stragrande maggioranza dei processi contro i giornalisti si concludono, dopo qualche anno, in proscioglimenti o archiviazione. Lo scopo vero è quello di scoraggiare il giornalista a indagare su verità scomode, per non renderle note al pubblico. A volte, gli autori delle denunce ottengono l’effetto di bloccare il proseguimento dell’indagine per una sorta di autocensura di fronte alla richiesta di ingenti somme di risarcimento. I più esposti sono quasi sempre i free lance e cioè quei giornalisti che lavorano in autonomia e che non hanno un contratto fisso di lavoro. Non hanno la copertura (manleva) di un editore che si faccia carico dei rischi e delle conseguenze giudiziarie e patrimoniali del loro lavoro.

I numeri accertati dall’Unesco, rispetto ai crimini contro i giornalisti, sono preoccupanti. Come certifica il World Press Freedom Day, le battaglie per un “giornalismo senza paura o favori” stanno raccogliendo sempre maggiori consensi. E dire che la frase viene attribuita al fondatore del New York Times fin dall’Ottocento. La stampa, come invece sta accadendo sul fronte ucraino-russo e nella Striscia di Gaza, è sempre meno sicura, libera e indipendente. Nelle ultime settimane di agosto pericolosi attacchi ai media sono arrivati dal regime di Mosca e, in particolare, contro i giornalisti italiani inviati dalla Rai sul territorio di Kursk, tra Ucraina e Russia, dove la guerra dura in pratica dal 2014 e nella Regione di Donbas. L’offensiva delle truppe di Volodymyr Zelensky è un duro colpo per Mosca e Vladimir Putin avverte il peso di un fallimento dopo quasi mille giorni dall’invasione. Alimenta quindi la propaganda bloccando l’accesso a WhatsApp, YouTube e Telegram.

I giornalisti maggiormente presi di mira sono quelli italiani. La tensione sale e la portavoce del Ministero degli Esteri russo Marija Zacharova ha accusato ufficialmente l’inviata Rai Stefania Battistini e il cameramen Simone Traini del Tg1 di aver attraversato illegalmente il confine di Stato. Mosca ha convocato al Cremlino l’ambasciatrice Cecilia Piccioni per chiarimenti. Subito dopo altre minacce sono state rivolte al giornalista di Rai News 24 Ilario Pignatelli, accusato di aver intervistato un soldato ucraino che aveva indossato per caso un berretto con i simboli dell’esercito hitleriano. La Zacharova, portavoce del ministro Sergei Lavrov, ha accusato la Rai di sembrare “un organo nazista”. Ma non basta. Mosca ha aperto anche un procedimento penale nei confronti di tre giornalisti della Cnn, un americano e due ucraini, con la stessa accusa: essere entrati in Russia con le truppe di Kiev. Niente di più falso ha replicato Battistini, richiamata a Roma per garantire la sua sicurezza e quella degli altri inviati. “Abbiamo filmato l’avanzata su un blindato e con la scritta Press sul giaccone come prescrivono le norme internazionali”. La figura dell’inviato di guerra è prevista dalla Convenzione di Ginevra. Un attacco brutale ai media è stato lanciato da missili russi che hanno colpito nella città di Kramatorsk, a 20 chilometri dal fronte ucraino, l’Hotel Sapphire, occupato da un team di reporter della Reuters. Il bilancio è stato di una vittima e 4 feriti, tra cui il fotografo premio Pulitzer Thomas Peter. Un attacco arrivato dopo due anni e mezzo di raid contro la stampa estera e locale che avrebbero causato la morte di 11 giornalisti e ferito 35 reporter.

Minacce ai giornalisti anche da Teheran. La teocrazia sciita ha messo in atto una serie di provvedimenti per tenere lontani gli operatori dei media. Dopo l’uccisione di Abdul Rahman Murtaja, i reporter caduti a Gaza dall’attentato palestinese del 7 ottobre sono saliti d’unità. L’aumento dei professionisti dell’informazione vittime del loro lavoro preoccupando la Federazione europea della stampa e la Fnsi che si sono rivolte ai governi al fine di individuare provvedimenti che limitino intimidazioni condizionamenti e restrizioni dei media. L’opinione pubblica ha il diritto di essere informata sui fatti che accadono nel mondo.

Aggiornato il 26 agosto 2024 alle ore 12:18