Ormai è agosto. Giunge così quel periodo dell’anno già ben noto ai nostri padri latini, dove in Italia ogni cosa rallenta nel calore meridiano, sino a fermarsi completamente in quei giorni canicolari di metà mese per poi, lentamente, risalire a rivivere tra una sagra paesana, una grigliata e una Settimana enigmistica completata per tre quarti.
Detesto agosto, ma è necessario che ci sia una stasi, un fermo quasi mistico in una controra che dura trentuno giorni. Agosto mi annoia e io detesto annoiarmi. Devo sempre fare qualcosa. Sin da bambino la stasi estiva mi uccide e, se non posso fare altro, penso per lo più cose sciocche e superflue, a volte inutili come vecchi ricordi confusi e sbiaditi nel tempo; altre volte gioco con i pensieri e proprio facendo questo, in seguito a una telefonata con un amico politico, mi sono ritrovato a compilare l’elenco delle persone valide che conosco, culturalmente e artisticamente pregiate, che non sono quasi mai di sinistra ma che l’attuale destra di Governo ignora, alcune volte senza alcuna giustificazione.
Il mio amico, politicamente impegnato, mi ha chiesto i loro nomi e io non li ho voluti manifestare, a lui come non li farò in quest’occasione. Ma già il fatto che mi abbia posto tale domanda è significativo dello scollamento, del distacco che esiste tra chi fa politica per professione e chi fa cultura e arte, a destra. I loro “riferimenti” (sottolineo l’aggettivo possessivo loro, non i miei) sono sempre gli stessi, noiosamente, reiterativamente i medesimi da cinquant’anni. Mezzo secolo di noia e di ripetitività. Un po’ come i temi che trattano, un po’ come i sostantivi usati. Ora vanno di moda “identità” – abusato, scontato, generico era nuovo nel 1995 o giù di lì – “conservatore”, tratto direttamente dal mondo americano stars and stripes e “patriota” perché si sa che, un richiamino al tricolore, molce sempre i cuori quando il vessillo sventola, soprattutto in occasioni sportive.
Non illudetevi, a sinistra stanno messi pure peggio, tra “inclusività”, “accoglienza”, “patriarcato”, “fluidità”, per tacere dello straripamento di sigle e acronimi dotati di asterischi o meno, a tal punto da rendere molti loro scritti una specie di anagramma composto per lo più da consonanti.
Se la destra ha la sindrome atavica della “convegnite” e continua imperterrita da decenni a sfornare forum e assemblee nei luoghi a lei cari, raduni che poi svaniscono e tornano nel dimenticatoio sistematicamente, senza aver prodotto granché se non una simpatica reunion tra vecchi amici e qualche volta “camerati” (ma ormai stiamo invecchiando tutti, abbiamo tutti – chi lo ha ancora – il crine canuto), la sinistra ha le sue feste elitarie, fintamente popolane e sempre più discoste da una base “laburista” che non esiste più. Un mondo che muore lentamente, sempre più privo di idee e di energie ad ogni levar del sole.
Potrei dire di vedere intorno a me un’aria da “basso impero”, ma magari fosse perché significherebbe che un “impero” c’è stato e invece non posso neanche rimpiangere quello. Il Sacro Romano Impero è finito da tempo, quello che tentò di sorgere sui “colli fatali” lo hanno stroncato a Piazzale Loreto; non ci hanno lasciato neanche il piacere sublime dell’esser decadenti. Siamo una nazione vacua che tira a campare, un gregge che non alza mai la testa e muore al Bar Italia sotto casa. Un popolo che si lamenta ma non reagisce, anzi subisce d’essere colonizzato sotto ogni forma, sottomesso a potenze straniere, altro che “sovranità” e “indipendenza”. Dopo decenni la via Appia, retaggio di un mondo grande e nobile, è diventata “patrimonio dell’Unesco” perché così almeno la si salvaguarda. Ma è necessario che la nostra immensa grandezza di patrimonio storico e artistico abbia la necessità di uno scudo “internazionale” che ne attesti il valore e dunque l’intoccabilità? Evidentemente sì. L’arte e la bellezza si dovrebbero proteggere da sole, invece abbiamo bisogno di qualcuno che le sancisca come necessarie. Rimpiango le grandi famiglie nobiliari italiane: i Medici, i Colonna, gli Sforza. Perché nessuno di loro ha avuto bisogno di un organismo statale per donarci lo splendore che, nonostante tutto, dura ancor oggi della loro arte, creata da pochi e offerta a tutti. Quella era democrazia vera e non chiacchiere autoreferenziali! Rimpiango una Chiesa ricca e colta, e i suoi Pontefici, con le loro concubine, con i loro mille figli naturali e con le loro guerre. Perché quella Chiesa, che oggi non esiste più, ci ha dato la maggior parte della ricchezza artistica che ancora ci rende il Paese più bello del mondo: peccato che non ce ne rendiamo conto.
È agosto dicevo, vorrei poter dire “Italia mia non ti conosco” e invece la conosco troppo bene, nella sua storia millenaria, nelle sue opere d’arte, nei suoi struggenti tramonti e per tutte queste cose. Per amore di chi rara tra tante lo merita, dobbiamo continuare a combattere per difendere ciò e chi amiamo. Anche se restiamo in pochi su questi bastioni non importa: la bellezza non deve morire straziata dai bruti di qualsiasi colore.
Aggiornato il 31 luglio 2024 alle ore 10:14