Per qualche click in più. Che rilevanza processuale hanno le intercettazioni rese pubbliche del colloquio tra Filippo Turetta e il padre Nicola? Com’è possibile che in un Paese in cui i giornalisti non possono pubblicare integralmente o per estratto il “testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”, come pubblicato in Gazzetta ufficiale il 24 febbraio scorso, il dialogo – avvenuto in carcere, a Verona, nel dicembre 2023 – tra padre e figlio sia stato dato in pasto ai quotidiani?
Si è arrivati a questo. Per racimolare visualizzazioni, commenti e reazioni, per scatenare la macchina del fango su un uomo che già deve fare i conti col fatto di aver dato la vita a un assassino, è bastato pochissimo. Nessuno, o quasi, si è messo una mano sulla coscienza. Nessuno, o quasi, ha provato neanche per un secondo a mettersi nei panni di Nicola, diviso probabilmente tra l’amore genitoriale e la realtà processuale dei fatti. Nessuno, o quasi, ha alzato la voce. Michele Serra, nella sua “Amaca” – appuntamento quotidiano pubblicato da Repubblica – di domenica 28 luglio, si chiede giustamente se “c’è ancora qualcosa che, per rispetto umano, può rimanere privata, o siamo destinati a vivere come i concorrenti di un gigantesco reality al quale non ci siamo mai iscritti”. Peccato che, qualche pagina dopo, lo stesso quotidiano ha riferito per filo e per segno il contenuto delle intercettazioni tra Filippo e Nicola Turetta.
Per soddisfare la fame di indignazione dei lettori – i pochi rimasti – di quotidiani e giornali online, un processo finora limpido, nitido, è stato stravolto all’insegna della morbosità. Il femminicidio di Giulia Cecchettin non ha avuto bisogno di alcuna prova ulteriore, e grazie al padre e alla sorella della vittima è stato aperto un importante dialogo politico sull’omicidio di genere. “Considererei una odiosa violenza che qualcuno (esclusi gli inquirenti) leggesse nero su bianco le mie parole”, ha osservato Michele Serra. Ora, “grazie” alle intercettazioni del colloquio avvenuto nel carcere di Verona – chi sa, con certezza, che cosa direbbe al proprio figlio finito galera per aver ucciso la propria ragazza? – si può “finalmente” tornare a parlare di educazione, di famiglie deviate, di singolarità. Grazie a tutti coloro che hanno condiviso le parole di Nicola, che ha pure dovuto fare pubblica ammenda, gli italiani possono finalmente circoscrivere il femminicidio di Giulia Cecchettin a un unicum, perpetrato da un “mostro” nato da una famiglia di “mostri”. Ed ecco che siamo tutti assolti. Quando invece Filippo Turetta è un ragazzo normale, nato da una famiglia normale, e la violenza di genere è un fatto strutturale.
Aggiornato il 29 luglio 2024 alle ore 15:03