Negli ultimi anni ho dovuto avere a che fare con le cure per la salute; la condizione ospedaliera, clinica, può angosciare: uno si stende sul letto, viene aiutato, si trova in soggezione, un campanello, infermiera, infermiere, a volte il medico, viaggia lungo i corridoi, colazione pranzo e cena, ciò gratuitamente in gran parte o del tutto. Situazioni angoscianti, secondo la ragione dello stare in luogo di cura, ma subentra o può subentrare − specie nei lunghi periodi − la forza della assuefazione: serviti, spesati, certo alla salute conveniva l’opposto, la possibilità di venir fuori da questa situazione, e avviene animosità, sentirsi imprigionati in maniera carceraria, non godere le coccole dei medici, come scriveva ironicamente Nietzsche. Questa ambigua valutazione della vita in clinica o in ospedale è una premessa generica.
Al concreto. In questi giorni ho dovuto riaffrontare l’operazione all’occhio destro, che ha perduto la vista e trasforma le cose in sogni ombrosi. Non è gradevole. Mi reco nel luogo dove sono stato già operato con effetti da riesaminare. Giorno, ora stabiliti. Registrazione, sono io. Saletta di attesa. Mi spoglio, mi impigiamo, aspetto, leggicchio. Ore. Chiamato. Sedia a rotelle. Ascensori, corridoi freddi, squallidi, vuoti, sotterranei, corridoi più inciviliti, mi conducono abilmente la sedia a rotelle come guidatori di gare, la sala operatoria, infine, luci in alto, quadrate, accecanti, radianti, pressanti, apparecchiature da laboratori soggioganti, da un lettino ad un lettino per l’intervento, tavolo operatorio, ago nella vena, pressione controllata, il braccio cinto, strettura, misurazione, un dito inanellato sulla punta, ossigenazione: Tutto bene? “Tutto bene”. Fronte immobilizzata, una copertura al volto, operazione non con strumenti manuali, operazione al laser, suppongo, evidentemente non posso vedere, subisco il raggio nell’occhio che inizia movimenti interni di apparizioni, nere, bianchissime, ondeggiamento continui, fluviali, ventosi, sciamanti, è, dovrebbe essere una ricerca, una sistemazione, la retina, il cristallino, responsabili della mia non vista, chissà a che mutamento sta attivandosi chi mi opera. E chi mi opera è ormai un’amica, la attiva, operosa Professoressa Elena Pacella, Direttore Uosd del Pronto soccorso oculistico A.O.U.Policlinico Umberto I Roma, Sapienza Università di Roma. Un raggio che attraversa il drappo esterno, le palpebre e si addentra nell’occhio ed Elena Pacella cerca quello che deve per sistemare la retina ed il cristallino. Avviene che io chiedo, ed Elena Pacella mi dice: “Bene”. Ma io supponevo brevissima la faccenda ed ho qualche scossino fisico, proibitissimo da Elena Pacella, che dichiara impossibile continuare se mi agito, sicché mi immobilizzo, potrebbe non essere arduo ma sorgono inconvenienti, recarmi in bagno, mi contengo, avviene però che la gola si carica di muco appiccicato, ostacolo alla respirazione, una fase di operazione con il respiro difficile, addirittura il non respirare in corso diventa micidiale, oltretutto non potendo tossire, inoltre l’anestesia ha fermato la parte destra del viso e la narice destra è murata, e aggiungo che l’ossigeno nelle narici mi disturba, non lo sopporto. Elena Pacella è tra l’amichevole ed il severo, “Bravo”, se sto immobile, “Si fermi”, se movicchio un ditino. Mi obbligo a respirare con una narice ostacolata dal muco, cerco con minimi sforzi di tossicchiare per sputare o spostare o ingoiare il muco, riesco, ho momenti in cui vorrei lasciarmi andare al sonno ma la coscienza del pericolo mi sveglia, ascolto in tale situazione voci meccaniche, dicono qualcosa che non riesco a definire ma come significative di un dialogo, una risposta, una cognizione, una connessione delle persone con gli strumenti tecnici, inoltre la misurazione della pressione accade automaticamente, la cintura a tempo si gonfia, mi preme, capisco che uno schermo indica la risultanza, in quanto alla respirazione, chiedendo se io immobilizzato non respirassi: Elena Pacella mi chiarisce che vi è un apparecchio il quale palesa la respirazione. Adesso abbiamo a che fare con tempi che sopporto per volontà, anche paradossalmente se il tempo si estende estendo la mia volontà di reggere. Sicché la fine accade mentre ero in condizioni di sostenere prolungamenti.
La connessione Uomo-Macchina è totale, siamo nell’epoca delle macchine intelligenti, delle macchine connesse all’uomo e l’uomo alle macchine. Una conquista immane, strabilia percepirla in corso d’opera, le macchine suggeriscono, rispondono, correggono, precisano, rappresentano la realtà in maniera minimale. Quando ho chiesto del respiro, Elena mi ha detto che sullo schermo coglieva tutto, se facciamo della tecnica lo strumento utilizzato per l’umanità, senza delegare noi alle macchine, senza macchine che fanno completamente da sé e ci indicano i fini, se riuscissimo a connetterci alle macchine, anzi le macchine a noi, in maniera intelligente senza affidarci esclusivamente alle macchine, insisto, il che porterebbe alla rovina, avremmo risultati possenti, degni dell’uomo umano. In campo medico specialmente. La salute è fondamento essenziale della vita. Dunque, non ostracismo alle macchine intelligenti, non sto riferendomi alla Intelligenza Artificiale che è tutt’altro, protesa alla sostituzione dell’uomo.
Mi sciolgono, ad alzarmi barcollo, mi avvenne in altre occasioni dopo essere stato a lungo steso a testa non sollevata, ritrovo l’equilibrio, di nuovo sulla sedia a rotelle, vorrei tornare a casa, Elena Pacella è dell’opinione che io resti all’Umberto I, corridoio enorme, città dentro e sotto la città. Il problema è l’anestesia, ha marmorizzato la parte destra del volto, bloccato ogni movimento, l’occhio viene fasciato, devo digerire l’anestesia. Le giovanissime infermiere, i giovanissimi medici, vedendo questo signore, io, alto barbuto bianco con bastone, un eremita, comprendono che ho bisogno di loro e della loro cortesia e la loro disponibilità precede le mie richieste, basta un cenno e la richiesta è soddisfatta. Non mangio da ore, molte ore, non bevo da molte ore, ma adesso ho letto, stanza, cibo. A mia esperienza, tranne rarissime circostanze, ho sperimentato disponibilità positiva da parte dei medici e degli infermieri, amicizia addirittura, lettori di miei scritti, articoli, sarà una vicenda personale ma sia allo Spallanzani, al San Giovanni alla Muratella, all’Umberto I, reparto oculistico di Elena Pacella sono stato aiutato a vivere! La scienza purché resti strumentale alla vita, alla salute, alle relazioni tra esseri umani rimasti umani è una vittoria momentanea ma consistentissima sulla morte sociale e naturale. E vedere quei giovanissimi medici, donne e uomini, con Elena Pacella scrutare educatamente e coscienziosamente i miei occhi per ridarmi la vita, conforta. Ho cure per qualche mese. Vedremo i risultati. Un finale al di là degli impegni medici, perché mai taluni farmaci non sono in vendita gratuita o scontata?
Ma siamo ad un inizio del passato. Controlli, due, tre visite settimanalmente, talvolta aspetto, e non mi adatto, talvolta comprendo e paziento, molta gente, corridoi, anziani con bastone, anziani con gli occhi bendati, anziani sorretti da figli paterni e materni, stranieri, anche, ma giovani, di solito recano bambini, dunque tra noi la vecchiaia, l’anzianità, gli stranieri giovani e con figli, mi appare la rappresentazione del nostro Paese, perfino del nostro Continente, davvero troppi anziani, davvero troppi anziani malandati. E soprattutto, forse, è un’impressione, troppi medicinali, in ogni caso troppi quando pure necessari. Mi appare una fantasticheria, farmaci ed armamenti, chi sa, un’invenzione per eccitare l’economia? Qualche medico o forse tecnico mi chiama, poggio il mento in un sostegno, stanza in ombra, conosco la vicenda, un faretto nell’occhio, guardi in alto, guardi a destra, guardi in giù, compio le mosse, chissà che percepiscono, io continuo a non vedere dall’occhio destro, mutamento dei colliri, anche integratori, viene Elena Pacella, sono indaffaratissimi. Le fascette che coprono l’occhio non sono resistenti, cedono. Ho protestato con le farmacie. Ma pare siano di tal fatta. In vero, alcune appiccicano, altre meno o minimamente.
Torno a dire, una conquista della ragion d’essere di costituire una Società la Sanità pressoché gratuita, dovrebbe rendersi totalmente gratuita, con la tutela dell’incolumità la protezione della Salute è, ribadisco, fonte essenziale dello stare insieme, oltre a proteggerci quale comunità da violenze estranee o interne. C’è però una paradossale antitesi. Possiamo abusare della garanzia gratuita. Senza stabilire sommatorie, il costo della salute deve attingere livelli straripanti e rende facile la disposizione a medicine, visite. È’un costo economico e mentale. Fiacca la sopportabilità, la tempra. Ma vi è un’antitesi dell’antitesi: i tempi talvolta lunghissimi.
Torno a me. Degli organi, la vista è la più negativa se ne veniamo privati. Ci fa ottenebrare il reale esterno, indifesi. Ho provato il buio. Un occhio non basta, ad un tempo diventa ritrovato essenzialissimo. Tutto di me è volto all’adattamento. Questo consente il superamento delle difficoltà, l’adattamento attivo, propositivo. Anche in questo caso però non dobbiamo, non devo adattarmi a sopravvivere nella difettosità. Devo riavere i miei umanissimi due occhi. Colliri, pomate, bende, faretti, ombre, penombre, figure e vedrò, vedrò: la vita!
Aggiornato il 24 luglio 2024 alle ore 15:06