Manovre di assestamento nelle principali televisioni italiane. La Rai è sempre nell’occhio del ciclone. La7 gode ottima salute. Per il caso Scurati, la conduttrice Serena Bortone è stata sanzionata dalla Rai con 6 giorni di sospensione ma Chesarà che, non superava il 4 per cento di share, sarà ridotta a una trasmissione alla settimana e con un budget non proprio risicato, a meno che non si vada alle carte bollate. Il problema più scottante sono le nomine del Consiglio di amministrazione. In particolare, scalpitano gli esponenti della Lega. Il membro della Commissione parlamentare di vigilanza Rai Stefano Candiani ha lanciato l’ipotesi di abbassare in 5 anni il canone per consentire a Viale Mazzini di aumentare i limiti di affollamento della pubblicità. L’idea non è nuova ma secondo le osservazioni di alcuni politologi dei media il vero obiettivo di Matteo Salvini sarebbe quello di ottenere una più marcata presenza nei vertici del settimo piano, anche prima del trasferimento del palazzo di Viale Mazzini sulla Cristoforo Colombo. L’ipotesi portata avanti dal tandem Fratelli d’Italia-Forza Italia e cioè Simona Agnes presidente, amministratore delegato Roberto Sergio, direttore generale Giampaolo Rossi, non piace al partito di Via Bellerio dopo che il manager Rai Antonio Marano è passato alla Fondazione Milano-Cortina per le Olimpiadi.
L’ipotesi di ridurre il canone Rai fino a eliminarlo completamente non convince anche se è considerata la tassa più odiata dagli italiani. La Rai è infatti la più grande industria culturale italiana e ha la responsabilità di garantire il servizio pubblico. L’alternativa potrebbe essere quella di abolire il canone, stabilendo però che la cifra necessaria alla sua gestione sia a carico dell’azionista del 99,56 per cento e cioè del Ministero dell’Economia. Proprio nelle settimane scorse la Rai ha collocato con successo un nuovo bond a 5 anni di 300 milioni presso investitori istituzionali, con offerte di circa 4 miliardi di euro. Una fiducia derivante dalle positive performance del gruppo e dal percorso di trasformazione in digital media company intrapreso dal Consiglio di amministrazione. Le critiche non mancano. Sono diversi i contestatori delle attuali scelte. Anche per le nomine di due lavoratori con partita Iva: il primo considerato vicino a CasaPound e l’altro, Matteo Tarquini, figlio di Giovanni, al quale nel 1990 Roberto Sergio aveva fatto da testimone. A schierarsi contro le nomine tutto il mondo sindacale di sinistra (Fnsi e Usigrai), il responsabile dell’informazione Pd Sandro Ruotolo (ex braccio destro di Michele Santoro), Maria Elena Boschi, Angelo Bonelli e il Movimento 5 stelle.
Gode, invece, di un momento magico La7 di Urbano Cairo. Dai 100 milioni di passivo del 2012 è passata a un attivo di 100 milioni di euro. Dalla settima posizione è salita in undici anni al terzo posto nell’orario tra le 20 e le 21 grazie al direttore Enrico Mentana (confermato dopo 14 anni di direzione fino al 2026), a Lilli Gruber con il suo Otto e mezzo. Il prossimo palinsesto autunno-inverno prevede la novità di Flavio Insinna al posto di Massimo Giletti e le conferme di Massimo Gramellini, Aldo Cazzullo, Corrado Formigli, Giovanni Floris, Corrado Augias, Diego Bianchi, David Parenzo, Tiziana Panella e lo storico Alessandro Barbero. Da settembre si accenderanno tutti gli appuntamenti giornalieri, con ascolti in crescita e vele spiegate per la pubblicità. È una tivù antigovernativa? Cairo risponde: “Ospitiamo tutti, siamo una tivù libera”. Il telecomando al pubblico.
Aggiornato il 09 luglio 2024 alle ore 12:23