Il vizietto dello scrittore, tra vittimismo e affarismo

Gli scrittori di successo? Ricchi e incompresi. Oggi, scrivere è un affare, per autori ed editori. Nel senso che, da almeno 20 anni a questa parte, ci sono miliardi di scrittori potenziali (tutti gli utenti dei social network, infatti, si credono tali), e quelli che hanno fiducia fino in fondo su se stessi si pubblicano da soli (vedi il caso del generale Roberto Vannacci, più unico che raro). Così, dietro questo planetario “fai-da-te” autorale, è nata una vera e propria industria di piccoli editori che non rischia nulla in proprio, ma si limita a pubblicare a pagamento testi ed e-book di sconosciuti, che debbono provvedere in proprio alla distribuzione delle copie contingentate, o assumersi un ulteriore, gravoso onere, per la relativa promozione. Ne deriva, come conseguenza immediata, che sono pochissimi quegli scrittori fortunati a vivere di scrittura e pagati per scrivere, beneficiando di contratti decenti con case editrici avviate, che vantano una certa solidità industriale nel campo della stampa e della distribuzione. Questo perché, in pratica, il nome famoso fa vendere qualunque cosa scriva, dato che anche un insuccesso nella promozione di un determinato titolo copre, comunque, per copie vendute, i costi vivi di edizione. Ora, come sempre, per dieci che ce la fanno, altre migliaia bussano alla porta della fama con tutta la forza della disperazione. Al contrario quindi dei peones, gli scrittori famosi possono permettersi tanti capricci che, quasi sempre, vengono assecondati dalle loro case editrici, per paura che quell’amore mercenario tra autore ed editore scelga un altro approdo industrial-letterario.

Il problema è che troppe volte gli autori famosi (e viziati) scelgono il delirio di onnipotenza, facendo campagna e polemica politica in modo più o meno aperto. Venendo per di più invitati, come tante cavallette infestanti, in tutti i talk nazionali, per nutrire il controcanto e alimentare strumentalmente il falso dibattito, con la loro costante presenza in arene di galli mediatici intolleranti e impreparati. E lo fanno, come disciplinati soldatini dell’opinionismo politico, ma spesso o quasi sempre per pubblicizzare il loro ultimo libro, romanzo, cronaca, o saggio, piuttosto che per ragioni di mera militanza. Tutto inevitabile, tutto giusto? A volte, tutto paradossale, come insegna il recente caso di Antonio Scurati, in cui l’illustre autore ha denunciato di essere stato censurato dalla Rai in merito a un suo breve intervento scritto, in cui prendeva di mira il Governo Meloni e, in generale, l’oscurantismo della destra attuale. Per tutta risposta, la premier italiana ha pubblicato integralmente il suo intervento sui social, moltiplicando così per milioni di esemplari quello stesso testo. Quindi: di quale censura si tratta, visto che, con ogni probabilità, il post è stato letto da molti più utenti televisivi di quelli potenziali che si sarebbero collegati in diretta, in occasione della trasmissione poi annullata? Ma non basta: l’ultima trovata è la protesta recente di noti scrittori italiani, che si sono lamentati di non essere stati iscritti alla kermesse annuale del libro a Francoforte, per biechi giochi di potere della solita destra impresentabile, in odore di fascismo censorio.

Anche in questo caso, chi sa e si intende di questo tipo di eventi ha sommessamente indicato le cause “oggettive” di questa esclusione patita, come il fatto che gli editori italiani interessati non avessero nuovi titoli degli autori esclusi da presentare alla fiera internazionale del libro di Francoforte. Oppure, può accadere che in quelle liste gli autori ci siano, ma poi decide l’organizzazione. E, a volte, capita persino che questa ti inserisca successivamente motu proprio e che tu, grande autore, rifiuti sdegnosamente l’invito per non essere stato la prima scelta. Ora, come si vede, non solo in tutto questo è la dialettica a essere assassinata dai Robespierre letterari, ma per di più il loro smisurato ego impedisce l’emergere di quella grande risorsa altruistica che è fa figura del maestro. Fateci caso: non sono più le scuole letterarie (il cui fulcro è lo stile del racconto e dell’analisi che fa riferimento all’opera del maestro) ma i corsi di scrittura a fare la parte del leone. Ovviamente, essendo questi ultimi non istituzionali e molto spesso assolutamente velleitari (per mille e uno motivi che non si sta qui ad approfondire), i veri talenti letterari, che necessitano del mecenatismo per essere scoperti e sostenuti, se vogliono emergere debbono seguire le vie improprie di auto-inserirsi in qualche lobby letteraria, in genere fortemente politicizzata.

Ed è proprio la funzione economicista che domina il mondo a rendere gli scrittori una “machine à imprimer”, imitando o parodiando sempre se stessi, perché per vivere occorre pubblicare a ogni costo e non perdere mai terreno rispetto ai propri concorrenti. Come aggirare tutto questo, sfilandosi dalla macina del conformismo? Lo Stato può fare molto, in tal senso, creando una sezione speciale del fondo per l’editoria, e coinvolgendo nelle selezioni di nuovi testi e autori le maggiori facoltà italiane di letteratura moderna. Partendo proprio dal web e dagli e-book auto-pubblicati. Basta suddividerli per il numero di volumi venduti e per generi letterari. Poi, in modo random, all’interno delle materie, si scelgono un numero fissato di testi tra quelli più venduti, depurati, grazie agli algoritmi dell’Intelligenza artificiale, dalle attività di plagio del copia-incolla, inviandoli successivamente all’esame delle suddette commissioni universitarie, che stilano una graduatoria finale. Ai primi tre classificati di ciascuna categoria è poi assicurato un congruo passaggio in una trasmissione ad hoc della radio – o tivù – pubblica, come Rai 3 e Radio Tre. Vogliamo scommettere che così finirebbe per sempre il monopolio dei palloni gonfiati, dando spazio ai giovani talenti?

Aggiornato il 04 giugno 2024 alle ore 12:40