Della musica c’è proprio bisogno o se ne può anche fare a meno? Solo risolvendo questo dubbio, potremmo smetterla di fare il gioco di chi vive momenti di gloria senza usare questa materia prima. L’importante è fare notizia, anche senza alcuna notizia. Quando tutti parlano di un personaggio pochi si chiedono che cosa abbia fatto, ma solo come si veste, come si atteggia, come recita il suo obbligatorio coming-out avanzato: dichiarare la propria omosessualità è roba dello scorso millennio, ora ci si deve presentare in minigonna, mantenendo il simbolo maschile all’anagrafe e autodefinendosi “non binario”, senza specificare se triste e/o solitario.
Quei pochissimi che sanno creare musica vengono emarginati da un sistema globalizzato che inquadra nel mirino un nuovo pubblico, a cui fa bastare performance scontate in salsa scenografica super-wow. Dunque, non più brani musicali, solo personaggi fabbricati in serie su modelli tutti uguali, che trasformano la trasgressione in normalità. Il problema che il mercato si porrà nel prossimo futuro è come inventarsi una nuova trasgressione, visto che la nuova normalità a breve non interesserà più.
La mega-fuffa universale nasconde l’incapacità spacciata per modernità, e silenziosamente colloca nell’angolo dei vecchi superati dalla storia chi produce e spaccia note musicali di senso compiuto. D’altra parte, qualcosa di simile avviene nella società: i salotti buoni delle importanti metropoli sono dominati da nullafacenti altisonanti, con titoli nobiliari come “digital creator”, in italiano disoccupato onnipresente sui social, che vorrebbe svettare comunque. E poi condottieri di follower fantasma, collezionisti di generi in un solo corpo, docenti di linguistica gender.
Il fatto è che i vari sanremi, e da tempo anche l’eurononsisaché, hanno cambiato strada, ma continuano a citare la musica nella propria sragione sociale come se ci fosse ancora. Dovrebbero essere denunciati per truffa, ma non ne vale la pena: gli effetti speciali a breve non basteranno più, e non servirà nemmeno addestrare le euromaionche affinché facciano violenza a se stesse e sostengano, nelle telecronache, il valore dei pupazzi in scena, credendo di salvarsi con il tifo per una figlia d’arte che canta una, brutta, ma almeno canzone in lingua italiana.
Non consola il fatto che nella penombra dei loro appartamenti sopravvivano pochi, attempati, irriducibili, i quali si permettono di ascoltare in solitudine vinili & Vanoni. La quale è entrata a far parte di quelle glorie della quinta età bisognose di assistenza e disposte a duettare l’Appuntamento con un Mahmood in versione badante che legge svogliatamente e sbaglia le parole. A questo punto, mia adorata Ornella, leggi il titolo di questo articolo.
Aggiornato il 16 maggio 2024 alle ore 08:48